Un Mare d’Amare
23 Marzo 2022Pianosa e il respiro del silenzio
23 Marzo 2022Se un turista decidesse di visitare l’Elba a primavera, dopo ripetuti soggiorni agostani in tutti i suoi paesi o borghi, costieri e collinari, lo farebbe con l’intenzione di carpire allo Scoglio, con la macchina fotografica e l’inseparabile block notes, in quei mesi sospesi tra la solitudine ardente dell’inverno e l’allegro caos dell’estate, la sua anima più autentica e nascosta.
Così, con sorpresa, già a metà del Canale di Piombino, mentre il traghetto fende il mare turchese orlandolo di candide schiume e gli isolotti di Cerboli e Palmaiola salutano da lontano il viaggiatore, avvertirebbe sospeso nell’aria l’inconfondibile profumo dell’elicriso in fiore, che popola discreto per molti mesi all’anno le ripe e le campagne isolane.
E se l’ora della sua traversata fosse nel tardo pomeriggio, nella porzione del giorno in cui tutto appare più silenzioso e assorto, con un pò di fortuna potrebbe assistere ad un tramonto di bellezza struggente, quando la Natura esibisce tutte le arti seducenti di cui è capace per incatenare lo sguardo delle sue creature al trionfo di rossi, di gialli e d’aranciati che colorano il cielo ad occidente, prima dell’uniformità delle ombre serali.
Ed entrando a Portoferraio sentirebbe quasi fisicamente l’abbraccio del suo Golfo, così caldo e protettivo, e non si meraviglierebbe più della definizione di Orazio Nelson, il grande ammiraglio: “Tutti gli uomini e i vascelli stanno senza preoccupazioni a Portoferraio, che per la sua ampiezza è il porto più sicuro al mondo”.
Il soggiorno comincerebbe da Villa Ottone, poco distante dal centro di Portoferraio, per l’incanto della sua posizione, affacciata sulla rada, e la candida imponenza della sua architettura; la stessa che scelse il turista tedesco Alfred Schroth negli anni trenta del ‘900 trascorrendovi una settimana di pace e di fresco tra alberi secolari: pini domestici e d’Aleppo, cedri, lecci, cipressi, palme ed eucalipti (v. Besondere Beilage del 31 gennaio 1930).
Il nostro turista in quei giorni non si stancherebbe di percorrere le vie e le scalinate del centro storico, nella loro fuga di prospettive e angoli visuali sui tetti e i vicoli della città, ma soprattutto di sostare ammirato a contemplare i poderosi bastioni di Forte Stella, Forte Falcone e La Linguella, inquadrando nei suoi scatti le antiche pietre nei cui interstizi terrosi a primavera si schiudono margherite rosse dalle foglie carnose.
E ovunque il mare farebbe capolino tra gli antichi palazzi, diventando protagonista assoluto della passeggiata lungo le Calate o nel giardino all’italiana della Villa dei Mulini, affacciato al Canale a salutare la costa toscana all’orizzonte; vicina nella nitidezza del maestrale, brumosa e lontana nell’uggia dello scirocco o nella furia del libeccio. Là, misurando la distanza dal continente e scrutando i velieri che procedevano lenti nello scintillio del sole sull’acqua, passeggiava come un leone in gabbia l’imperatore Napoleone in esilio o sostava sua sorella Paolina, accorsa a confortarlo, tra lo sfogliarsi delle ultime rose autunnali e il canto sommesso della fontana.
Ma è sulla spiaggia di Sansone che il nostro turista sceglierebbe di concludere degnamente la prima tappa del suo excursus elbano; ha letto meraviglie su di essa e la realtà non lo delude: il mare è puro cristallo che lascia ammirare anche nelle minime screziature i sassi del fondale, gli scogli giocano con l’acqua e la primavera fiorisce con generosità già i primi spazi terrosi oltre la sabbia.
La seconda sosta del suo viaggio dell’anima avrebbe per fondale il Capanne perché dell’Elba l’ha sempre attratto la convivenza armoniosa di costa e montagna, la presenza di sorgenti e torrentelli che scorrono tra massi granitici profumati di muschio e ombreggiati da fitti castagneti. Così, lasciato il superbo litorale di Marina di Campo, e non senza aver visitato San Piero e Sant’Ilario, che per la vicinanza confondono il suono dei loro campanili, salirebbe su verso il Perone a godersi la magnifica vista dei golfi sottostanti e a percorrere il sentiero delle farfalle, innamorate della flora e del microclima isolani. Poi scenderebbe al Poggio per respirarne quiete e salubrità affacciandosi al magnifico balcone naturale della sua piazza, aperta sulla fuga dei colli circostanti e, sotto, all’amenità di Marciana Marina, lambita dal mare e protetta dalla Torre Pisana. Vorrebbe recarsi al Santuario della Madonna del Monte, a oltre seicento metri d’altezza, alle falde del Monte Giove, perché sa che dal XIV secolo è luogo di venerazione e di culto per tutta la gente isolana e immagina che da lassù il panorama sia ineguagliabile. Così raggiunge Marciana adorna d’ortensie e si fa indicare la salita, che percorre con la spiritualità del pellegrino, fermandosi a ogni cappella della Via Crucis e ammirando, come un miracolo della natura, il magnifico spettacolo che si dipana al suo sguardo: dietro, la vastità azzurra del mare, il verde della macchia mediterranea, i paesi come presepi; davanti, i massi di granito che sembrano assumere ora la forma di una gigantesca aquila, ora il profilo di un essere umano smisurato.
Giunto alla meta, l’accoglie l’ombra dei secolari castagni e la panchina di pietra che ha ospitato di generazione in generazione l’affanno di chi arrivava, magari con i figli piccolissimi sulle spalle. Poi, ripreso fiato, si dirige verso la chiesa, salutato sul sagrato dalle sorgenti del Teatro della Fonte. All’interno dalla fresca intimità della chiesetta, l’invito al raccoglimento e alla preghiera, nonché all’ammirazione del bell’affresco sopra l’altare della Madonna Assunta con angeli musicanti, risalente al quindicesimo secolo.
Fuori, al sole di maggio, incamminatosi lungo il comodo sentiero per Serra Ventosa, scopre all’orizzonte del mare apparentemente immenso che si apre sotto di lui, il profilo inconfondibile della Corsica e attorno a sé una miriade di cespugli fioriti e profumati che declinano tutte le sfumature cromatiche possibili: dal bianco al bordeaux, dal celeste al giallo.
La seconda tappa del suo itinerario, tutta dedicata al versante occidentale, finirebbe con il ritorno al Poggio, una gustosa cenetta a base di specialità isolane e un lungo sonno in una locanda del paese, per prepararsi alla terza e ultima riscoperta dell’Elba in primavera: quella della parte orientale, con le miniere dismesse e le imponenti tracce delle strutture industriali abbandonate, lo scintillio dei minerali ferrosi, il rosso della terra scavata per millenni. Non lo lascerebbe indifferente la splendida ubicazione di Capoliveri, aperta ai venti e ai mari sottostanti e l’aspetto gaio di Porto Azzurro, salotto dell’Isola, ricco nei suoi dintorni di splendidi giardini architettonici, d’agrumeti, di terrazze e scalinate, dove il profumo delle zagare aleggia tutto l’anno.
Proseguendo per la strada provinciale scoprirebbe Rio, antico borgo fortificato, e a due chilometri Rio Marina, dove trascorrere una lieta serata assaporando la cucina locale e dedicandosi agli ultimi scatti notturni: alla Torre degli Appiani e al vecchio e suggestivo quartiere del Castello, che riflette le sue luci nell’acqua sotto gli Spiazzi, ma anche, in lontananza, ai velieri con le vele ammainate che procedono a motore nel buio e nella bonaccia.
L’indomani, prima di salire sul traghetto che lo riporta in continente, l’ultimo saluto sarebbe per il Cavo, il paesino ridente più vicino a Piombino, alle sue belle ville antiche e al profumo di resina delle sue pinete.