L’Isola Verde
9 Agosto 2022Cosimo de’ Medici
9 Agosto 2022L’Elba dei Post Macchiaioli
Qualche tempo fa, abbiamo raccontato delle storie per la promozione social di alcune località elbane. In una di queste, ambientata negli anni Cinquanta, il protagonista, osservando un’anziana nei suoi abiti tradizionali, rifletteva sul bisogno dell’Isola di ricongiungersi con i propri ritmi, con la semplicità delle tradizioni dopo il passaggio della grande storia. Chiedo scusa per l’autocitazione, ma questa è stata la prima immagine che mi è venuta in mente, quando mi è stato chiesto di scrivere un articolo su Domenici, Cigheri e Castelvecchi, pittori post-macchiaioli uniti, come tanti altri artisti famosi, da un legame indissolubile con lo “Scoglio”, un luogo magnetico fonte di attrazione e ispirazione. È come se l’Isola, con le sue atmosfere, abbia lenito le ferite provocate dal nuovo secolo roboante. I paesaggi e in particolar modo le marine, scolpiti dalla luce tagliente di Lloyd o sfumati da Nomellini, rappresentano un tentativo di riconnettere l’anima popolare e antica con il linguaggio della pittura che stava emergendo. Anche P. Klee rimane colpito dal paesaggio, ritraendone le trasparenze e la poesia. Alcuni anni dopo la pittrice futurista Benedetta Cappa, moglie di Marinetti, subirà lo stesso fascino, dipingendo l’Elba nella sua opera Aereopittura di un incontro con l’isola. Di lì a poco altre vicende funestano l’Italia. Carlo Domenici, nel 1946, sbarca all’Elba ancora provata dalla guerra. È già un pittore affermato e uno dei massimi esponenti della scuola Labronica. Ideatore e fondatore del Gruppo Artisti Elbani (GAE), riunisce intorno a sé alcuni pittori locali, ai quali trasmette la sua esperienza artistica e le sue conoscenze tecniche, acquisite all’Accademia di Belle Arti di Firenze (dove si avvicina allo stile dei macchiaioli), facendoli conoscere oltre il territorio elbano. Questa fucina di pittori, al di là del livello e delle declinazioni artistiche, talvolta molto diverse, è legata da un profondo amore per l’Isola. Nel settembre del 1946 Domenici organizza la prima collettiva in occasione della quale i pittori Franco Cigheri, già formato artisticamente, e Giancarlo Castelvecchi, il più giovane del gruppo, presentano le loro opere. Mario Borgiotti, pittore e collezionista d’arte, afferma che «La pagina di arte italiana che questo “Gruppo di Artisti Elbani” vuole illustrare è una delle più valide. Vivi sono lo spirito e le idee che pervadono le opere insieme a quell’intima emozione che lega l’artista e lo spettatore, e che trova le più vere ed autentiche ragioni nella poesia». La passione per la natura e le terre toscane, ereditata dai grandi maestri quali Giovanni Fattori, portano Domenici alla produzione di capolavori paesaggistici, raffiguranti scene comuni di vita agreste, impregnate di emozioni personali che la visione di queste suscita nel pittore. Nei suoi dipinti, capolavori dal sapore bucolico, si rappresentano scene di vita quotidiana della campagna toscana. Le sue tele sono calde, grazie all’uso sapiente degli accostamenti cromatici, e pur rappresentando la fatica del lavoro della gente semplice, sono sempre pervase da un senso di pace. La pennellata di Domenici risente indubbiamente della tradizione macchiaiola.
La natura toscana diventa una delle costanti della sua pittura e del suo percorso artistico la cui attività espositiva è intensa. L’artista sembra non poter fare a meno di paesaggi e scorci incontaminati la cui poetica autenticità è resa sulla tela attraverso i colori di una tavolozza accesa e vibrante in grado di creare, accanto ad uno studio attento della luce, scenari suggestivi. Tra le opere più significative che rappresentano l’Elba e le sue scene marine, in cui si colgono l’atmosfera e la brezza di mare attraverso toni vivaci e luci vibranti, meritano di essere citate le opere Spiaggia del Lido, Le Ghiaie, Paesaggio all’isola d’Elba, Barche, Isola d’Elba… Il 28 giugno del 1981 Carlo Domenici si spegne a Portoferraio con “un saluto”, casualmente significativo, a quella «vita che sta nel colore, nella gioia che sprigiona questo colore che sa di mare». Contemporaneamente alla sua morte Giancarlo Castelvecchi, cura e allestisce la mostra retrospettiva GAE nell’ambito delle manifestazioni “Come una città rilegge la propria storia”. Franco Cigheri, “l’unico al quale Domenici concesse il tu” nasce a Montespertoli nel 1905. Si forma con Felice Carena a Firenze dove ha inizio la sua esperienza artistica e culturale, che denota un’apertura ed una ricerca che caratterizzerà il percorso pittorico della sua vita, pur rimanendo costantemente fedele alla semplicità dei paesaggi rurali e delle sue genti.
Cigheri è considerato uno dei più prestigiosi eredi della pittura post macchiaiola fiorita sulla costa Labronica. Il maestro Domenici loda il pittore elbano affermando che «Cigheri è padrone del suo stile e lo fa con scioltezza, dinamismo e scrupolosa attenzione, e fa di esso cose non solo piacevoli ma anche pregevoli. Occupa un posto di primo piano nella pittura contemporanea e rimane fedele ai grandi maestri Macchiaioli. I colori sono brillanti, i paesaggi pieni di sole, i suoi quadri danno gioia e beatitudine. […] È un pittore a me particolarmente caro, ma credo anche a molti Portoferraiesi […] Bisogna riconoscere che il linguaggio pittorico del Cigheri è di grande modernità. […] La sua maturazione cromatica proviene da una profonda conoscenza del disegno e da un profondo studio». Una costante attenzione nel riportare sulla tela le proprie impressioni insieme alla visione della realtà di ciò che lo circonda, la coerenza con la propria matrice culturale e i valori che ne definiscono in maniera inequivocabile la dimensione umana, lo portano a numerosi successi con esposizioni prestigiose sia personali che collettive, in Italia e all’estero, e al conferimento di importanti premi che gli valgono il titolo di pluriaccademico. Nei suoi quadri, dove risaltano i colori ammalianti dell’Isola (i gialli, i rossi, gli arancioni, gli azzurri e i verdi), i soggetti sono la terra, i contadini e i pescatori, le fanciulle a passeggio, le donne sedute sotto nodosi olivi, i casolari assolati, i verdissimi angoli frondosi, gli arenili arsi dal sole, le barche in secca nelle piccole insenature, le marine intense e dolcissime. Rimorchiatori nel porto, Pescatori sono alcuni titoli di scene di vita che lo hanno ispirato. Anche per Cigheri l’autenticità della vita comune rappresenta il motivo dominante del suo lungo e fervido impegno artistico. Ciò che caratterialmente ha più colpito di Lui sono stati la signorilità d’animo, l’umanità, una toscanità prorompente fatta anche di estremismi ideali e pittorici, il sorriso sempre stampato sotto due baffi bellissimi che faceva immaginare una sorniona ironia.
Un Uomo, Cigheri, che continua a vivere nel ricordo di coloro che lo hanno conosciuto. La poetica pittorica di Domenici e Cigheri si ritrova nel pensiero artistico di Giancarlo Castelvecchi il quale, se pur giovane, “subisce” le vicende del dopoguerra. Ne è prova una sua dichiarazione: «Esponevamo tra le mura superstiti della ex caserma De Laugier. C’erano macerie a Portoferraio, in Italia, nel nostro spirito. Anche noi iniziammo e partecipammo alla ricostruzione del paese. […] Era una vera scuola di pittura, nella quale molti appresero, altri lasciarono incertezze e vizi». Chi lo ha conosciuto sa della sua infanzia e adolescenza vissuta in un’antica casa al Grigolo insieme ai fratelli, la sorella e la madre Ilva che, vedova dal 1945, li cresce – come scrive Felice Chilanti sullo Scoglio – «con l’insegnamento fondamentale della verità, della modestia, dell’amore per la poesia e l’arte; lei, la Ilva, ha insegnato ai suoi figli anche l’onore e la libertà di scelta e di coscienza, e ha potuto anche aiutarli a conquistare un posto nel mondo. Chi sa tutto questo capisce, apprezza meglio di altri la pittura di Castelvecchi». Per Castelvecchi questo periodo rappresenta un’irripetibile palestra per la propria formazione umana ed artistica. Esperienze di vita che lo portano ad essere un vero protagonista della scena culturale elbana. Molto noto e amato si divide tra la pittura e l’arte, l’insegnamento, l’allestimento e la cura di mostre, la promozione del Premio Letterario Raffaele Brignetti, del quale era stato amico, così come di altri famosi giornalisti e scrittori tra cui Oreste del Buono e Gaspare Barbiellini Amidei. Non sempre facile, ma vero, schietto e sempre generoso. La poetica pittorica di Castelvecchi – come scrive Maria Laura Testi Cristiani, docente di Storia dell’Arte all’università di Pisa – «si snoda a partire dalla prima adesione affabile al canto di una natura forte e ammaliante, catturando il mondo dei nostri ricordi, delle nostre radici; […] di pitte turgide nelle ombre salmastre; di grandi alberi antichi e tamerici piegate dal libeccio […] di barche ormeggiate o in secco, antiche barche di legno, presto archeologia della nostra memoria […] E poi del mare, mare di sempre più irreali gamme di blu, verde, turchese e violetto, mare che canta lo stesso canto cromatico del cielo». Castelvecchi dipinge case, barche, mura corrose dalla salsedine, remi e tronchi, vele e cespugli, così come per tutta la vita li ha visti sua madre, con un amore lungo ottanta anni che rimane impresso nelle tavole e nelle tele dell’autore, dove i colori e le luci di questa Isola, luogo fisico e dell’anima, sono accarezzati e catturati in ogni pennellata. Anche se per molto tempo la critica ha relegato i post macchiaioli ad un ruolo minore, fuori dai mercati che contano, oggi si tende a rivalutare l’esperienza artistica, ma comunque la si voglia vedere, molto più di questo mi pare rilevante l’esperienza umana irripetibile del legame tra luci e colori dell’isola ed i suoi interpreti.
Per Castelvecchi questo periodo rappresenta un’irripetibile palestra per la propria formazione umana ed artistica. Esperienze di vita che lo portano ad essere un vero protagonista della scena culturale elbana. Molto noto e amato si divide tra la pittura e l’arte, l’insegnamento, l’allestimento e la cura di mostre, la promozione del Premio Letterario Raffaele Brignetti, del quale era stato amico, così come di altri famosi giornalisti e scrittori tra cui Oreste del Buono e Gaspare Barbiellini Amidei. Non sempre facile, ma vero, schietto e sempre generoso. La poetica pittorica di Castelvecchi – come scrive Maria Laura Testi Cristiani, docente di Storia dell’Arte all’università di Pisa – «si snoda a partire dalla prima adesione affabile al canto di una natura forte e ammaliante, catturando il mondo dei nostri ricordi, delle nostre radici; […] di pitte turgide nelle ombre salmastre; di grandi alberi antichi e tamerici piegate dal libeccio […] di barche ormeggiate o in secco, antiche barche di legno, presto archeologia della nostra memoria […] E poi del mare, mare di sempre più irreali gamme di blu, verde, turchese e violetto, mare che canta lo stesso canto cromatico del cielo». Castelvecchi dipinge case, barche, mura corrose dalla salsedine, remi e tronchi, vele e cespugli, così come per tutta la vita li ha visti sua madre, con un amore lungo ottanta anni che rimane impresso nelle tavole e nelle tele dell’autore, dove i colori e le luci di questa Isola, luogo fisico e dell’anima, sono accarezzati e catturati in ogni pennellata. Anche se per molto tempo la critica ha relegato i post macchiaioli ad un ruolo minore, fuori dai mercati che contano, oggi si tende a rivalutare l’esperienza artistica, ma comunque la si voglia vedere, molto più di questo mi pare rilevante l’esperienza umana irripetibile del legame tra luci e colori dell’isola ed i suoi interpreti.
Esperienze di vita che lo portano ad essere un vero protagonista della scena culturale elbana. Molto noto e amato si divide tra la pittura e l’arte, l’insegnamento, l’allestimento e la cura di mostre, la promozione del Premio Letterario Raffaele Brignetti, del quale era stato amico, così come di altri famosi giornalisti e scrittori tra cui Oreste del Buono e Gaspare Barbiellini Amidei. Non sempre facile, ma vero, schietto e sempre generoso. La poetica pittorica di Castelvecchi – come scrive Maria Laura Testi Cristiani, docente di Storia dell’Arte all’università di Pisa – «si snoda a partire dalla prima adesione affabile al canto di una natura forte e ammaliante, catturando il mondo dei nostri ricordi, delle nostre radici; […] di pitte turgide nelle ombre salmastre; di grandi alberi antichi e tamerici piegate dal libeccio […] di barche ormeggiate o in secco, antiche barche di legno, presto archeologia della nostra memoria […] E poi del mare, mare di sempre più irreali gamme di blu, verde, turchese e violetto, mare che canta lo stesso canto cromatico del cielo». Castelvecchi dipinge case, barche, mura corrose dalla salsedine, remi e tronchi, vele e cespugli, così come per tutta la vita li ha visti sua madre, con un amore lungo ottanta anni che rimane impresso nelle tavole e nelle tele dell’autore, dove i colori e le luci di questa Isola, luogo fisico e dell’anima, sono accarezzati e catturati in ogni pennellata. Anche se per molto tempo la critica ha relegato i post macchiaioli ad un ruolo minore, fuori dai mercati che contano, oggi si tende a rivalutare l’esperienza artistica, ma comunque la si voglia vedere, molto più di questo mi pare rilevante l’esperienza umana irripetibile del legame tra luci e colori dell’isola ed i suoi interpreti.