Il Volterraio in due testimonianze cinquecentesche
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15 Marzo 2023Fin dall’antichità la popolazione elbana vive delle risorse della terra, quella agricola e quella mineraria. Quest’ultima, la più cospicua, fino al secolo scorso sostiene la maggior parte delle famiglie, specialmente quelle del versante orientale. L’estrazione del ferro si perde nella memoria dei millenni, e così l’organizzazione della società con la rigorosa divisione dei compiti: agli uomini il lavoro nella cava e nei campi, alle donne la famiglia e la casa. Nella miniera le donne sono escluse: solo alle vedove prive di sostentamento è concesso di avvicinarsi alle cave per raccogliere in terra il minerale residuo. Queste rappresentano un po’ ovunque il tipo di donna indipendente dalla tutela dell’uomo che, in nome della povertà, si può muovere liberamente per sostenere la famiglia. Le donne seguono la vita dei loro uomini, scandita dal breve riposo notturno e dal lavoro in miniera. Le donne – compagne di uomini, spezzati dalla fatica che, come cavatori, si levano avanti giorno e tornano, come contadini, a finire la giornata di lavoro nella vigna o nell’orto – sono mogli e mamme sole. Una condizione dura per tutta la famiglia, ma necessaria per la sopravvivenza. Il salario dei minatori e i frutti del campo che ognuno possiede, rappresentano il dono di una Terra Madre come per tutti i popoli antichi. Dalla terra, elemento primordiale, è tratto il minerale, essenziale per la sopravvivenza della comunità; dalla terra scaturisce il dono della sorgente inesauribile dell’acqua purissima; un’altra acqua, quella del mare che tutto circonda, è elemento che unisce e separa, una via di contatto con i popoli. L’Elba in quanto Isola è per questa ragione frequentemente in pericolo per gli assalti dei pirati che imperversano da epoche immemorabili nel Mediterraneo. Oltre alle incursioni dei corsari ci chiediamo: Cosa dona il mare a quest’Isola? La risorsa della pesca è scarsa e poco redditizia. Sulle “marine” si caricano solo il minerale, la pietra, o il vino e l’acqua per approvvigionare le navi. I paesi, arroccati sulle alture, lo guardano con sospetto e paura degli assalti dei predatori. Per le donne è il massimo pericolo: dal mare vengono i corsari, che saccheggiano, incendiano e rapiscono persone. Le donne ridotte in schiavitù e portate sui mercati del Mediterraneo, gli uomini messi al remo come galeotti. Questo è il loro destino documentato dal XVI secolo. Dalle tragiche sparizioni è raro il ritorno. “In terre riesi” capita però che una donna, rapita nel 1534 nell’incursione di Ariadeno Barbarossa viene liberata a Tunisi l’anno dopo insieme ad altri prigionieri e riportata a casa. È Emilia d’Ercole di Rio (vedi nota 1 a piè di pagina) uno dei rari nomi di donna emersi dall’oblio della storia.
Regolata dagli Statuta, la vita sociale si perpetua immutata nei secoli, anche se a volte subisce le scosse provocate con l’arrivo di stranieri che invadono l’Isola per imporre il potere sulle sue risorse. Altri sconvolgimenti sono generati da cause fatali come i cattivi raccolti e le carestie, da cui nascono tremende epidemie che decimano la popolazione, destinate a ripetersi fino all’inizio del Novecento. Terribile è quella del 1715, ma devastanti sono anche le epidemie di tifo del 1816, di colera del 1835, del 1855 e del 1875. La vita comunque continua scandita dal duro lavoro della miniera, della pesca e della navigazione. Quest’ultima attività allontana gli uomini dalla famiglia per lungi periodi. Le donne restano con i figli e gli anziani. L’attesa del marinaio è una prova di carattere e forza per la donna che ha il ruolo del vero capofamiglia, capace di affrontare la vita con determinazione e di superare con la sua forza i problemi e la solitudine. Sono queste le prime donne moderne, indipendenti e attive. Non meno, lo sono le donne dei minatori. Le donne reggono la famiglia, parlano in nome dei loro uomini, ne sostengono le idee e le posizioni politiche. Si schierano con accanimento e mantengono ferma la propria opinione, scelgono e lottano. La vita continua, tuttavia, offrendo occasioni di gioie e condivisioni che uniscono e danno un significato positivo e solidale all’esistenza. Le donne le vivono con tutta la generosità che si irradia dai “vicinati” per convergere nel cuore stesso del borgo.Nelle piazze del paese partecipano agli eventi, alle feste e alle processioni, ai matrimoni, alle morti e alle tragiche comunicazioni delle guerre, fino ai comizi e agli scioperi dei nostri giorni. Sono loro a progettare e a commentare, a soppesare e a giudicare per il bene della Comunità, attrezzate di coraggio e di ardore, ispirate dall’amore di quanto di caro il luogo natale rappresenti: la casa, la famiglia, gli affetti. Gli anni di dolore non mancano anche nel secolo scorso con le due guerre mondiali che “strappano” loro gli uomini, rendendole vedove. Gli anni Quaranta si aprono per l’isola d’Elba con scenari di guerra che nessuno poteva prevedere: dai tempi delle incursioni barbaresche non si erano verificati episodi tanto gravi di atrocità e non si era sentito che il vago ricordo del terrore che viene dal mare. Il 16, 17 e 18 giugnodel 1944 sbarcano nel golfo di Campo nell’Elba gli Alleati. L’operazione è accompagnata da attacchi aerei. I Francesi nell’ambito della collaborazione con l’esercito di Liberazione forniscono truppe provenienti dalle colonie del Nord Africa con soldati algerini, marocchini e senegalesi. È ancora vivo tra le anziane il ricordo di quei momenti tragici in cui il sogno della pace svanisce e dall’inconscio collettivo si sveglia il terrore della violenza. Le donne dell’Elba rivivono le pene delle loro antenate strappate ai propri tetti dai pirati, braccate nei boschi, tratte in schiavitù. Tra le testimonianze di quei tempi durissimi si riporta quanto scritto nel libro Donne di Mare e di Miniera: «Mentre nell’avanzata si setacciava palmo a palmo il territorio in una caccia all’uomo mirata alla cattura dei soldati tedeschi in fuga, venivano da parte delle truppe africane prese molte donne, grazie alla concessione di tre giorni di libertà di stupro e di rapina ricevuta dal comando francese. Nella parte orientale correva come un’onda la voce delle violenze sulle donne. La gente allora abbandonò l’abitato, convinta di salvarsi almeno dai bombardamenti, e si nascose nelle campagne»(vedi nota 2). Alla fine della guerra un senso di immenso sollievo, e dal regime e dalla gravosità delle occupazioni, pervade gli animi. Come nel resto del paese ci si incomincia a muovere nella libertà, a compiere i riti corali, delle feste e delle processioni. Con gli Cinquanta e già dalla fine degli anni Quaranta si assapora quel senso di sollievo che apre un periodo di pace e di speranza.
- Emilia D’Ercole di Rio fu rapita da Sinam Bassà detto Il Giudeo, capo della flotta musulmana, dal quale aveva avuto un figlio che nel 1539 il principe Giacomo V Appiani fece battezzare e tenne presso di sé adottandolo e dandogli il nome della sua casata. Nel 1543 Barbarossa tornava per rivendicare la restituzione al padre. Approdava con le sue navi presso Longone (attualmente Porto Azzurro) nella cala che da lui prende il nome e inviava una “galera” a Piombino per riavere il ragazzo. Il principe rifiutò di consegnarlo in quanto era ormai cristiano. Lo fece anche l’anno successivo; ma dietro la distruzione di Capoliveri, mentre i pirati si preparavano a salire le pendici del Volterraio verso Rio, alla fine capitolò, consapevole dell’immane carneficina e restituì il giovane.
- Lucia Paoli, Donne di Mare e di Miniera, Comune di Rio nell’Elba, Arti Grafiche Giorgi e Gambi, Firenze 2000.
L’articolo è stato scritto da Lucia Paoli, ricercatrice e autrice di molti libri di storia locale tra i quali Donne di mare e di miniera, per il magazine di promozione turistica Elba Per2 e non solo… Edizione 2018/2019.