Fioricultura elbana
26 Settembre 2023Un viaggio di scoperte e sensazioni nelle isole dell’Arcipelago Toscano
28 Settembre 2023Quando ero bambino e passavamo l’estate all’Elba, mia madre mi portava spesso con sé a fare la spesa. Una delle mete era il mercato coperto di Portoferraio. Mi affascinava la vita del mercato, con un viavai continuo di persone, uomini, donne, ragazzi, che attorniavano i banchi di marmo mentre i venditori invitavano a fermarsi elogiando a gran voce i loro prodotti. L’ambiente mi sorprendeva per la vastità, con possenti archi acuti che sorreggevano altissime le falde della copertura. Mi attiravano soprattutto i banchi dei pescivendoli, dove c’era abbondanza di pesci di ogni tipo. Per quanto i giri di mia madre lo permettevano, rimanevo a guardare affascinato i pesci spada, che spesso coprivano buona parte del banco. Mi piacevano anche i grossi tonni, ma era dai polpi che lo sguardo si distoglieva a fatica perché destavano in me un misto di fascino e di repulsione mentre, ancora vivi, distendevano i tentacoli. Poi c’era un banco particolare, piccolo e dimesso, che vendeva solo cozze, vongole e poco altro. Mi colpiva il cartello che lo annunciava: vi si vedeva il disegno assai grossolano di una donna, dall’impossibile capigliatura di un giallo intenso, sotto al quale una scritta, “La bionda muscolaia”, mi evocava bicipiti prorompenti. In realtà “la bionda muscolaia” era una signora dai lineamenti decisi e quasi mascolini, dalla voce roca e stentorea, che chiamava i passanti ad acquistare i “suoi muscoli” di mare. Mia madre in genere comprava trance di tonno o di spada, perché a me ed ai miei fratelli il pesce con le lische non piaceva. Poi uscivamo e, fuori dalla porta del mercato, una targa sulla parete esterna indicava che quello era stato l’Arsenale delle Galeazze. Il complesso era composto da due grossi capannoni uguali, uno solo dei quali adibito a mercato; l’altro non ricordo, mi pare che ospitasse le poste. Diventato un ragazzo cominciai a pormi domande: che tipo di navi fossero le galeazze e, soprattutto, come potevano gli arsenali, dove si costruivano navi, stare dentro le mura della città. Una nave infatti deve essere varata, ma l’unico passaggio per il mare sarebbe stata la porta antica delle mura, ampia sì, ma non abbastanza da far passare una nave. Allora? Che senso aveva un arsenale così grande dal quale si potevano far uscire solo piccole imbarcazioni? Poi, quando ho cominciato ad interessarmi alla storia di Portoferraio, ho capito.
Cosimo I fu un grande sovrano, determinato ed intelligente. Come tutti i Medici credeva nell’influsso degli astri sulle cose umane, ma considerava l’astrologia con intelligenza e senso pratico, non facendosene mai condizionare nelle scelte politiche. Pur essendo nato nel segno zodiacale dei Gemelli assunse come emblema quello del Capricorno, che era stato il segno di nascita di Augusto e di Carlo V. Nel 1548 fondò Portoferraio come città nuova dal nome celeste ed esoterico, Cosmopoli, conformandola alla costellazione del Capricorno. Ma Portoferraio fu anche e soprattutto una base navale solida ed inespugnabile per una flotta toscana, che cominciava allora a formarsi. Le mura ed i bastioni racchiudevano e proteggevano tutto ciò che serviva alla logistica di un’armata navale: un capace arsenale, una biscotteria, cioè un edificio dove i forni cuocessero le gallette, alimento degli equipaggi durante le lunghe navigazioni, poi magazzini, polveriere, abitazioni, caserme, cisterne dove raccogliere l’acqua per le navi, chiese dove implorare “l’aiuto del Cielo” nell’affrontare le insidie del mare e le carneficine delle battaglie. Scriveva un ambasciatore veneto nel 1561: «La principale intenzione del principe è che questo luogo sia albergo sicuro de’ marinari e delle maestranze che navigano… E quel che importa e che è la mira della final intenzione del duca, è che qui fa fare un arsenale con 50 volti da tener galee e tutto quel che fa bisogno d’armate». Le mura racchiudevano l’insenatura che oggi chiamiamo Darsena, un sito protetto da tutti i venti, rifugio sicuro per ogni nave fin dai tempi dei Romani e probabilmente degli Etruschi. Portoferraio fu costruita infatti sui ruderi di un insediamento romano e poi medievale, abbandonato dopo incursioni e devastazioni. Quando Cosimo I salì al potere, lo stato fiorentino non aveva una flotta. Aveva un porto, Livorno, ma poco protetto ed insicuro. Il porto dell’antica repubblica marinara, Pisa, conquistata da Firenze, era insabbiato ed ormai lontano dal mare per l’avanzamento della costa nel corso dei secoli. Cosimo de’ Medici potenziò Livorno e costruì sull’isola d’Elba la grande base di Portoferraio, luogo strategico per il controllo delle rotte tirreniche fra la Corsica e l’Italia. Erano anni di guerra tra l’impero di Carlo V e il regno di Francia, alleatosi con i turchi per averne il sostegno di una flotta che contrastasse quella genovese, che sosteneva l’imperatore. Le incursioni dei corsari algerini sulle coste italiane erano dunque costanti. Cosimo, abile politico, subito si rese conto che uno stato, per essere forte, doveva esserlo non solo in terra ma soprattutto in mare. Così mentre in terra costruì una rete di fortezze che difendessero i confini e le città dello stato, per il mare allestì una flotta. Come scriveva l’ambasciatore veneziano: «A me ha più volte detto che un principe non è potente se’l non è potente da terra e da mare e che però non pensava ad altro che di voler far galee». Nel 1547 Cosimo varava le prime due galee, quelle che l’anno successivo avrebbero portato il contingente di soldati e operai per costruire la città fortezza dell’Elba. L’anno dopo ne costruiva già altre due. In breve tempo il duca arrivò a disporre di dieci navi da guerra. Firenze non era mai stata terra di marinai; Cosimo promulgò quindi bandi con i quali, promettendo facilitazioni economiche importanti e garanzia di impunità da precedenti condanne, invitava maestranze estere esperte nella costruzione e nella conduzione di navi. Così dai territori di Venezia, dalla Grecia, dalla Corsica, da Marsiglia e da Genova giunsero in tanti al servizio del Duca, insediandosi a Livorno e popolando Portoferraio. Il solito ambasciatore veneto poté maliziosamente notare che Portoferraio «è fatto ridotto d’ogni sorta di gente, volendo che etiam li banditi vi possano star sicuri». Per la conduzione della flotta, inizialmente Cosimo si servì del sistema dell’appalto: ad un ammiraglio si consegnavano con regolare contratto navi, equipaggi ed artiglierie e si stabiliva un corrispettivo, ma il contratto prevedeva che alla scadenza navi ed equipaggi fossero riconsegnati nel numero e nelle condizioni con cui erano state affidate. Era un sistema diffuso in Europa, economicamente soddisfacente, ma militarmente insostenibile. L’appaltatore infatti evitava per quanto poteva i rischi sia del mare che delle battaglie, perché avrebbero comportato danni e costi che sarebbe stato chiamato a rifondere di tasca sua. Il Duca, che voleva invece una flotta da guerra che agisse con coraggio contro i corsari ottomani, pensò allora ad un sistema diverso: costituì un ordine cavalleresco, riservato ai cadetti di famiglie nobili, che avesse come fine la guerra sul mare contro i nemici della Cristianità. Nel 1562 fondò l’Ordine di Santo Stefano, sulla falsariga di quello dei cavalieri di San Giovanni di Malta. Ma l’ingresso non fu riservato solo ai figli della nobiltà: anche i ricchi borghesi che si fossero affiliati, dopo aver dimostrato il loro valore e per tre anni il servizio sulle navi, avrebbero ricevuto un titolo nobiliare. Il successo dell’iniziativa fu pertanto enorme. Sull’esempio di Malta, il duca avrebbe voluto che la sede dell’Ordine militare fosse l’isola dell’Elba ed a Portoferraio fece erigere un convento – caserma, quello di San Francesco, oggi Centro Culturale De Laugier[1], come casa dei suoi cavalieri. Ma l’impero e la Spagna non permisero mai a Cosimo I di annettersi tutta l’isola, che apparteneva al principato di Piombino. Alla Toscana rimase solo Portoferraio, con il suo golfo. Era troppo poco per farne la sede dei cavalieri. La casa madre fu dunque stabilita nell’antica repubblica marinara di Pisa. Già nel 1565 Cosimo poté inviare un contingente in soccorso di Malta, assediata dai Turchi, e nel 1571 una flotta di ben 12 navi nell’armata che affrontò e sconfisse la flotta ottomana a Lepanto.
L’arsenale di Portoferraio fu progettato ed iniziato dall’architetto che aveva disegnato anche la città, Giovanni Camerini, ed alla sua morte proseguito da Bernardo Buontalenti, architetto di fiducia dei successivi granduchi Francesco e Ferdinando. Di lui ci rimangono disegni per le capriate, che in origine dovevano sorreggere l’ampia copertura. Per tutto il governo di Cosimo I e dei figli, l’arsenale fu in piena efficienza. Le navi della flotta toscana si distinsero in tutta Europa per la loro eleganza e per la loro straordinaria efficienza nautica e militare. Come racconta uno storico navale, quelli toscani erano «legni bellissimi e arditissimi per costruzione tecnica e per arte decorativa, legni il cui scafo snello, lungo, agile alla manovra, era servito da un corredo di remi adattissimi e da una velatura efficiente, ammirevole per i colori di cui era formata, tra i quali primeggiavano in vivace contrasto l’arancione, l’azzurro, il rosso. E poi fiamme da combattimento sfarzose, bandiere bellissime sui castelli poppieri, pavesi grandi e piccoli dai colori smaglianti, e un insieme fiabesco di fanali, di altorilievi e di bassorilievi scolpiti in legno pregiato e dorati, ornamentazioni di bronzo, speroni arditissimi per l’investimento e l’immobilizzazione delle navi avversarie». La flotta non era costituita solo da galere, da corsa o da caccia, ma da galeazze, galeoni, fregate, sciabecchi. Le galee, agili, manovrabili e veloci, in grado di inseguire ed abbordare le navi avversarie, avevano ben tre ponti: quello inferiore destinato alla stiva delle munizioni e delle vettovaglie, quello mediano per i cavalli delle truppe da sbarco, quello superiore per i vogatori. Le galeazze invece erano vere fortezze galleggianti: lunghe ben 70 metri, larghe il doppio di una galera, avevano 32 banchi di voga, tre ponti come le galere e due castelli, uno prodiero e l’altro poppiero. Le galeazze, armate pesantemente con 36 cannoni pesanti e 64 leggeri, potevano ospitare fino a 1200 uomini tra equipaggio, truppe d’assalto e prigionieri. Probabilmente non si arrivò mai alla capienza massima, ma certo le condizioni igieniche di centinaia di persone, in uno spazio comunque ristretto e spesso per mesi di navigazione, dovevano essere tremende. I galeoni erano meno manovrabili e non avevano remi, ma solo velatura quadra. Quando parliamo di galeoni, il pensiero va subito alle gesta di quelli spagnoli ed ai lunghi viaggi sulle rotte atlantiche. Ebbene, quelli toscani erano reputati più solidi e affidabili: le navi toscane godevano di eccellente fama in Italia e fuori d’Italia, trovando ammiratori e imitatori. Il galeone San Giovanni Battista, progettato e costruito in Toscana al tempo di Ferdinando I, era così potente che riuscì a tener testa per dodici ore consecutive ad un’armata turca composta da 42 galere e 2 galeazze ed a vincere lo scontro. I galeoni degli altri stati non potevano vantare le medesime prerogative e quindi i medesimi successi. Sotto Ferdinando I la flotta da guerra toscana fu rafforzata e costantemente impiegata in una guerra di corsa contro l’impero ottomano. Quando parliamo di corsari noi pensiamo sempre ai Caraibi ed ai mari americani. Ma il Mediterraneo non era da meno: gli algerini al servizio del sultano compivano continue azioni contro navi mercantili e scorrerie sulle coste italiane, da cui traevano schiavi e bottino. I toscani facevano altrettanto, abbordando navi ottomane, assalendo basi e città sulle coste africane; anch’essi ne ricavavano prede e schiavi. I Cavalieri di Santo Stefano ottennero straordinari successi, come la celebre presa della città di Bona, i cui affreschi celebrativi furono dipinti nel Palazzo Pitti da Bernardo Poccetti. Bona era una città fortificata, principale base navale dei pirati berberi, abitata da almeno seimila persone, di cui duemilacinquecento atte alla difesa. La sua conquista fruttò ai toscani ed ai cavalieri millecinquecento prigionieri, destinati alla schiavitù nei porti e sulle galere, oltre a cannoni ed armi in gran quantità. Cosimo II, il giovane e sfortunato Granduca, figlio di Ferdinando, proseguì la politica marinara del padre. Nel 1609 da Portoferraio partì una squadra navale che ottenne grandi successi contro le flotte ottomane. Quando Cosimo II salì al potere, il sultano di Costantinopoli mise in mare una flotta di 45 galee con l’ordine di trovare e distruggere la flotta toscana. Questa, che contava 6 galee ed 11 galeoni, affrontò la flotta turca e la sconfisse. Il sultano allora propose al Granduca un trattato: se i toscani avessero cessato le scorrerie nel mar Egeo, avrebbe loro consentito libertà di commercio in tutte le terre e in tutti i mari del dominio turco. Il giovane Granduca rifiutò. Sotto il comando di valenti ammiragli, la flotta toscana condusse una continua guerra di corsa e di scorrerie sulle coste dell’impero ottomano. Dal 1610 al 1613 furono conquistate ben cinque città e fortezze, mentre tra il 1608 e il 1621 furono catturati oltre 50 vascelli e 7 galee da guerra tra cui 4 ammiraglie delle flotte corsare. Ferdinando I e Cosimo II ebbero al loro servizio una straordinaria figura di ingegnere navale, Robert Dudley. Questi, figlio illegittimo del conte di Leicester, a soli vent’anni era già generale della Corona d’Inghilterra e con questo grado aveva guidato una spedizione oceanica fino alla foce dell’Orinoco. Nel 1605, non venendogli riconosciuti i diritti sui titoli del padre, lasciò l’Inghilterra e si mise al servizio del Granduca di Toscana. Qui egli operò e rimase fino alla morte nel 1649. Dudley fu ingegnere navale e cartografo eccellente. Si devono a lui innovativi progetti di galere e galeoni, come quello che lo stesso Cosimo I si recò a visitare mentre era in costruzione a Livorno «con disegno del conte di Uerliche inglese, vascello molto bello et grande». Suo era anche il progetto del San Giovanni Battista di cui abbiamo detto avanti. Ma il Dudley progettò anche navi di tipo completamente nuovo, come i galeratoni, i cui prototipi fece costruire nell’Arsenale di Portoferraio. Si trattava di un tipo di nave che avrebbe dovuto unire la maneggevolezza delle galee alla potenza di fuoco delle galeazze, con minor pescaggio di queste. Un solo galeratone nei piani di Dudley sarebbe stato capace di tener testa a quaranta galere nemiche. Queste navi non ebbero tuttavia fortuna perché, nonostante fossero ben progettate, si rivelarono poco maneggevoli per la guerra di corsa della flotta toscana, che necessitava di velocità per gli inseguimenti e grande agilità. Dopo Cosimo II l’Arsenale di Portoferraio perse via via importanza a favore di quello di Livorno, il cui porto era stato potenziato dal Dudley con la costruzione della nuova grande diga foranea, che creò un bacino ampio e sicuro capace di contenere e proteggere fino a cento navi. Il declino della marina toscana era così iniziato e proseguì fino a quando nel XVIII secolo il Granduca Pietro Leopoldo, della casa Asburgo Lorena succeduta ai Medici, la smantellò definitivamente. La storia degli arsenali di Portoferraio finisce dunque qui, ma non mi sono dimenticato il quesito di partenza: come si potevano varare navi così grosse se venivano costruite dentro le mura della città? La risposta, semplice e allo stesso tempo poco comprensibile agli occhi di noi moderni, mi venne dalla lettura di un antico storico dell’Elba: di fronte all’arsenale il muro di cinta della città era costruito più sottile e ad ogni varo vi veniva aperto un varco, poi prontamente rimurato.
[1] Il Centro Culturale e Congressuale, intitolato a Cesare De Laugier, ufficiale napoleonico di madre portoferraiese, rappresenta la memoria storica della città. Ospita la Pinacoteca Foresiana con una ricca collezione di dipinti, stampe e disegni donati da Mario Foresi così come i 40.000 volumi di grande interesse storico, artistico e mineralogico che costituiscono il patrimonio della Biblioteca Foresiana.
L’articolo, scritto da Renzo Manetti, architetto e scrittore, è stato pubblicato nel magazine di promozione turistica Elba Per2 e non solo… Edizione 2023/2024.