L’affascinante e antica storia del ferro all’isola d’Elba
2 Ottobre 2023Simone Velasco Campione d’Italia
4 Ottobre 2023Non c’è paese, seppur piccolo, che non abbia la sua Piazza, uno spazio libero, spesso circondato da edifici di qualità architettonica e di particolare prestigio civile o religioso con diverse tipologie e con funzioni attribuite in rapporto al tessuto sociale ed economico dell’abitato. La Piazza, più di ogni altro luogo, ha sempre rappresentato l’identità di un paese. Luogo della memoria dove sin dall’antichità dell’agorà greca, del foro romano e ancora prima delle corti dei palazzi cretesi o micenei, ha per secoli mantenuto la caratteristica principale di forti concentrazioni culturali e sociali. Ancora oggi la Piazza è usata come metafora per descrivere l’impegno di una protesta politica o sindacale o per altri più o meno nobili motivi. Scendere in piazza significa, infatti, unirsi e trovare coesione per il conseguimento di un comune obiettivo. Anche se l’espandersi della “piazza virtuale” televisiva e l’irrompere della rete nei rapporti interpersonali ha oggi sostanzialmente modificato le abitudini delle persone, privandole in parte della sua centralità della vita pubblica, la Piazza rimane comunque un punto di riferimento importante per lo svolgimento di iniziative culturali e ludiche, oltre che per la celebrazione di ricorrenze significative in cui si riconosce la storia del Paese e della città. La presenza, inoltre, di luoghi dove si esercitano le attività commerciali – negozi, bar, ristoranti – offre ulteriori opportunità agli abitanti di incontrarsi, soffermarsi per discutere e, quindi, di stare insieme e socializzare.
L’Elba non fa eccezione. Portoferraio, il capoluogo, di piazze nel centro storico ne ha addirittura due: Piazza della Repubblica e Piazza Cavour. La prima, storicamente la Piazza d’Armi della cinquecentesca Cosmopoli, per molti anni ha rappresentato l’autentica e propria agorà dei portoferraiesi, salvo poi essere destinata del tutto ad un mega parcheggio pubblico. Ombreggiata da platani e ornata da aiuole, nel lessico popolare, fino alla metà del ‘900, era la Piazza dei Giardinetti così come ancora oggi, nella memoria di molti, viene ricordata. Al centro s’impone il “Monumento ai Caduti” opera dello scultore Corrado Feroci, pressoché ignorato in patria ma osannato in Thainlandia e laggiù conosciuto come Silpa Bhirasri, fondatore, tra l’altro, della prima Accademia di Belle Arti nel Paese asiatico. Ai piedi del monumento, in questa piazza, in presenza delle rappresentanze istituzionali, civili e militari, si ripete ogni anno la cerimonia della posa della corona d’alloro a perpetuo e grato ricordo del sacrificio di coloro che hanno lasciato la vita in nome e per conto della Patria. La seconda, Piazza Cavour, per molto tempo è stata aperta al traffico degli autoveicoli e in parte adibita anch’essa a parcheggio pubblico; finalmente oggi zona pedonale, può dirsi l’unica vera piazza della città, dove hanno sede la farmacia centrale, un paio di banche, diversi ristoranti e non meno dignitosi negozi, oltre ad alcuni bar, fra cui il mitico Bar Roma dove nell’immediato dopoguerra si raccoglieva un assortito gruppo di cittadini di militanza politica diversa. Oggi non è più rivestito di grandi specchi e ornato di fregi stile Liberty, ma pur sempre un luogo elegante e frequentato ritrovo non solo per gli elbani, ma anche per i turisti in visita al centro storico. Da alcuni anni, purtroppo, sono venute meno le edicole ubicate nei due caratteristici chioschi ai lati dell’ingresso della “Porta a Mare”, gestite per decenni da due singolari e contrapposti personaggi come Luigi De Pasquali e Giovanni Dellea, non casualmente a destra il primo e a sinistra il secondo, ove ogni giorno era consuetudine radunarsi per commentare i fatti cittadini e lasciarsi andare, talvolta, a vivaci seppur garbate polemiche e a sarcastici commenti e punzecchiature nei confronti degli avversari di turno. È in Piazza Cavour che in occasione delle feste di fine d’anno fa bella mostra di sé un grande e luminoso albero di Natale, simbolica testimonianza non solo religiosa, ma anche di valenza cosmica che lo collega alla rinascita della vita di un’intera comunità. Dove collocarlo, quindi, se non nel posto più centrale e significativo della città che da sempre è rappresentato dalla piazza?
In quanto ad alberi, assume, pertanto, un significato che va oltre ad un gustoso scherzo, quello compiuto, nei giorni di Natale del 1984, dagli abitanti di San Piero ai danni dei loro concittadini della marina (Marina di Campo) i quali, avvalendosi del privilegio di essere capoluogo del Comune, avevano ornato la loro piazza con un abete bello e rigoglioso lasciandone uno più piccolo e striminzito nella piazza del borgo collinare. «La disparità di trattamento», riferiscono le cronache locali, «non era piaciuta ai sampieresi che nottetempo, con un camion e alcuni volenterosi, hanno effettuato un blitz per la sostituzione degli alberi, trasferendo lo striminzito alla marina e collocando quello più bello nella Piazzetta di San Piero».
Sempre la Piazza, comunque, era al centro delle vicende cittadine, sia pure per disputarne gli abbellimenti o per competere in prestigio con i “villaggi viciniori”. Non di scherzi ma di sarcastica ironia è intrisa invece l’invettiva con cui i “riesi di su”[1], quelli del “buchino”, tanto per intenderci, appellavano i “riesi di giù”[2], quelli della “piaggia”, per capirsi, dileggiandoli in quanto «piaggesi col chiavello in fronte, che baraste una chiesa per farci una fonte». La Chiesa era quella di Santa Barbara, posta dove c’è ora il Palazzo Comunale in Piazza Salvo D’Acquisto. Siamo nel 1838 quando furono gettate le fondazioni, ma evidentemente non sufficientemente solide se dopo poco meno di vent’anni, nel 1856, la chiesa fu interdetta al culto perché dichiarata pericolante per poi, nel 1860, essere definitivamente demolita. Nello spazio non più occupato dalla chiesa venne costruito un ponte ad archi che attraversando il centro cittadino consentiva lo scarico del minerale verso il mare a bordo di apposite imbarcazioni. Pertanto, più che di una fonte, si trattò in effetti di un ponte, ma il senso e la rima, in fondo, per i “riesi di su” rimanevano e sono rimasti gli stessi. Liberata dalla chiesa e dal ponte, la Piazza di Rio Marina ha via via assunto un’immagine più ariosa e moderna, seppur condizionata dal traffico della strada provinciale che la percorre lateralmente, separandola dai negozi e dal bar che si trovano sul lato opposto. Qui, comunque, di solito si svolgono le feste in grande e i comizi elettorali, mentre allo “struscio”[3] e alla movida sono riservati gli “Spiazzi”, una specie di terrazza, sovrastante il molo, protesa verso il mare. La Chiesa era quella di Santa Barbara, posta dove c’è ora il Palazzo Comunale in Piazza Salvo D’Acquisto.
Siamo nel 1838 quando furono gettate le fondazioni, ma evidentemente non sufficientemente solide se dopo poco meno di vent’anni, nel 1856, la chiesa fu interdetta al culto perché dichiarata pericolante per poi, nel 1860, essere definitivamente demolita. Nello spazio non più occupato dalla chiesa venne costruito un ponte ad archi che attraversando il centro cittadino consentiva lo scarico del minerale verso il mare a bordo di apposite imbarcazioni. Pertanto, più che di una fonte, si trattò in effetti di un ponte, ma il senso e la rima, in fondo, per i “riesi di su” rimanevano e sono rimasti gli stessi. Liberata dalla chiesa e dal ponte, la Piazza di Rio Marina ha via via assunto un’immagine più ariosa e moderna, seppur
condizionata dal traffico della strada provinciale che la percorre lateralmente, separandola dai negozi e dal bar che si trovano sul lato opposto. Qui, comunque, di solito si svolgono le feste in grande e i comizi elettorali, mentre allo “struscio”[3] e alla movida sono riservati gli “Spiazzi”, una specie di terrazza, sovrastante il molo, protesa verso il mare.
Simile ad una terrazza, se non proprio un belvedere, è anche la Piazza di Marciana, caratterizzata da un accentuato sviluppo longitudinale nota con l’antico nome di “Piazzale della Porta”, distesa ad arco ai piedi dell’antico borgo di architettura medievale, uno dei paesi più antichi e ricchi di testimonianze storiche e archeologiche, costruito su un precedente insediamento di epoca romana. La collocazione in altura alle pendici del Monte Capanne, offre alla vista uno scorcio di straordinaria e suggestiva bellezza che, nelle giornate chiare prive di foschia, va oltre la punta della penisola dell’Enfola per spaziare fin oltre la costa e le colline del continente. È qui che si svolge gran parte della vita pubblica dei marcianesi, in un
intreccio osmotico con i numerosi turisti che nei mesi estivi la invadono attratti dall’originale e interessante patrimonio storico del paese che ha nella Fortezza Pisana, costruita nel XII secolo come baluardo difensivo contro le incursioni piratesche, un luogo ideale per ospitare mostre d’arte, convegni, concerti e spettacoli d’ogni genere. Una specie di dependance della Piazza in basso all’ingresso del paese, dove si svolgono invece gli eventi di maggiore rilievo dal punto di vista degli usi e delle tradizioni, quali il “Palio di Sant’Agabito” o la “Festa d’Autunno” che è un appuntamento culinario a base di castagne che si ripete ogni anno a ottobre.
Per singolare coincidenza, seppure del tutto diverse tra loro, le due piazze principali di Capoliveri e di Porto Azzurro portano lo stesso nome del martire socialista, assassinato dai fascisti di Mussolini, Giacomo Matteotti. Per il resto le accomuna solo il fatto di essere luogo in cui si dipana e trova interesse la vita cittadina, punto d’incontro, di sosta e di un quotidiano viavai per gli abitanti e le moltitudini di turisti che le affollano durante la stagione estiva. La prima dislocata in collina, l’altra pressoché adagiata sul golfo, entrambe veri e propri salotti, ideali e prestigiose location per eventi ludici e culturali, con opposte visuali panoramiche da cui si ravvisa e si compendia l’identità di un’isola fatta di
monti e di mare. Nei versi del poeta Manrico Murzi, dedicati alla piazza del suo paese, Marciana Marina – «la Piazza della Chiesa trionfante di vita, il bar da Aldo, dove si parla davanti a un caffè, allietati dalle grida e dalle corse dei bimbi» – emerge un’immagine quasi fiabesca di un luogo dove hanno sede prestigiosi eventi culturali e i grandi festeggiamenti in onore della patrona Santa Chiara d’Assisi che ogni anno, il 12 agosto, qui richiama un gran numero di isolani e di turisti. Lo “struscio” no, quello si svolge soprattutto sul lungomare, ricco di bar, negozi e ristoranti, un’incantevole passeggiata che ha per terminali da un lato la Torre Pisana, edificata nel XII secolo, come la Fortezza del paese collinare, per l’avvistamento e la difesa dalle scorribande saracene, dall’altro Borgo al Cotone, l’angolo sicuramente più antico e pittoresco di Marciana Marina, uno scrigno aperto che con le sue case arroccate sul mare custodisce gelosamente i segni e l’unicità del suo passato.
Della Piazza del proprio paese, frequentata prima da bambini e poi, col passare del tempo, da adulti, ciascuno di noi porta con sé ricordi indelebili e la nostalgia di età e di giorni irripetibili. I miei sono in gran parte legati alla piazza di Rio nell’Elba, dove ho trascorso gli anni della mia infanzia e della prima giovinezza: For di Porta, per i paesani, perché era ed è posta fuori dalle mura, a differenza di altri borghi medievali dove di solito la piazza è interna e parte integrante del centro storico. La ricordo quando ancora nel dopoguerra il terreno era grezzo di serpentino, un minerale duro e verdastro ricco di silicato di magnesio che la Nuova Italsider, conclusa l’epopea del ferro, estrasse per alcuni anni in alcune cave all’aperto non molto lontano dal
aese, nei pressi di Monte Fico. Su quella Piazza, utilizzata come spazio per il gioco della “palla guadagnata” o della “palla elastica”, come sidice in altre parti della Toscana, ho ancora la visione di quei ragazzi – poco più che ventenni, alcuni appena tornati dalla guerra e da questa segnati in volto e nell’animo, con i pantaloni larghi o alla zuava, le magliette a strisce e in testa, il fazzoletto annodato dietro la nuca a mo’ di bandana – sfidarsi a gruppi di quattro o cinque con una piccola palla di cuoio che veniva colpita a pugno chiuso e lanciata al di là di una linea tracciata sul terreno col bianco di calce. E poi lo “struscio” o il passeggio come si chiamava a quei tempi, rituale scambio di parole e d’intese, occasione per nuove amicizie e nascenti amori, con le ragazze a braccetto, su e giù, vestite a festa, e gli sguardi talvolta furtivi e altre volte insistenti dei ragazzi appoggiati ai muri o anch’essi a passeggiare avanti e indietro durante le ore serali che precedevano la cena. Ed io che mi rivedo piccolo, un “soldo di cacio” – come mi chiamava mio padre – non ancora decenne, sulla terrazza antistante la piazza gremita di folla con davanti un microfono e ai lati due grossi altoparlanti, il fazzoletto rosso al collo, a pronunciare con enfasi un discorso imparato a memoria con frasi ad effetto, spalmato di retorica dall’inizio alla fine, ma pieno di autentica passione proletaria, un’ invocazione alla pace universale, all’uguaglianza e alla giustizia, al riscatto degli oppressi per un mondo migliore, alla lotta contro lo sfruttamento padronale, all’unità e alla solidarietà di tutti i lavoratori. Era il primo Maggio del 1948, Festa del Lavoro, e quello, in una certa misura, fu il mio esordio pubblico in politica, accolto, con un lungo e fragoroso applauso di cui ancora mi par di sentire l’eco oltre le case luccicanti di sabbia ferrosa, giù per le vie e i vicoli del paese, fin nella campagna intorno e le valli verso il mare. E infine, per rompere la monotonia delle lunghe e afose notti estive in un paese dove il massimo del divertimento era qualche partita a carte o a ping pong nel bar da Vittorio, o dare due calci al pallone dove capitava, noi ragazzi un po’ più svegli e irrequieti cercavamo di inventarci qualche sollazzevole diversivo, qualche scherzo, non sempre innocuo, almeno per chi era costretto a subirlo. Piazza del Popolo, la mia piazza che ancora porto nel cuore.
Era il primo Maggio del 1948, Festa del Lavoro, e quello, in una certa misura, fu il mio esordio pubblico in politica, accolto, con un lungo e fragoroso applauso di cui ancora mi par di sentire l’eco oltre le case luccicanti di sabbia ferrosa, giù per le vie e i vicoli del paese, fin nella campagna intorno e le valli verso il mare. E infine, per rompere la monotonia delle lunghe e afose notti estive in un paese dove il massimo del divertimento era qualche partita a carte o a ping pong nel bar da Vittorio, o dare due calci al pallone dove capitava, noi ragazzi un po’ più svegli e irrequieti cercavamo di inventarci qualche sollazzevole diversivo, qualche scherzo, non sempre innocuo, almeno per chi era costretto a subirlo. Piazza del Popolo, la mia piazza che ancora porto nel cuore.
Per venire ai giorni nostri e per concludere, credo che niente di meglio potrei dire se non riportando il pensiero di Ezio Mauro che recentemente, in un editoriale apparso su “La Repubblica”, ha scritto che «dopo lo sconvolgimento universale provocato dall’urto delle tre emergenze congiunte (la pandemia, la crisi economico-finanziaria più pesante del secolo, il deficit di rappresentanza che svuota i seggi elettorali), era inevitabile ritornare alle radici della vita associata per recuperare le ragioni perdute del bene comune e il senso smarrito della comunità. La prova è la riscoperta della città, come infrastruttura della democrazia.
E con la città ritorna la Piazza, luogo d’incontro e di riconoscimento reciproco, ma anche unità di misura dello scambio di relazioni e del dialogo quotidiano. La piazza, dunque, come esercizio della democrazia, in un Paese in cui è sorprendentemente più alto il livello delle diseguaglianze che la soglia del conflitto. Riemergendo dal buio della crisi, la piazza ridiventa addirittura agorà: il luogo della discussione, dell’interpellanza, della conoscenza. È da questo livello popolare della politica, intimo, a portata di mano, che può incominciare il recupero di un impegno civile che negli ultimi anni sembra smarrito. Dal bisogno di portare in piazza le proprie inquietudini e le domande a cui è difficile trovare una risposta, per cercare insieme una soluzione e una via d’uscita.
È qui che la politica, senza inseguire soltanto le percentuali, può ritrovare le persone e la vita autentica di ogni giorno, che è più ricca, vera e sorprendente di un algoritmo».
[1] Abitanti di Rio nell’Elba
[2] Abitanti di Rio Marina
[3] Gergo elbano per indicare passeggiate ripetute nelle strade dei paesi di provincia.
L’articolo, pubblicato nel magazine di promozione turistica Elba Per2 e non solo… Edizione 2023/2024, è stato scritto da Danilo Alessi, ex sindaco del Comune di Rio nell’Elba e autore di molti libri.