L’Isola delle Meraviglie
23 Novembre 2023Love is Love
28 Novembre 2023A partire dal 2012 la rada di Portoferraio all’isola d’Elba, legata al leggendario sbarco degli Argonauti e celebre per le inesauribili miniere di ferro, è oggetto di progetto di ricerca archeologica condotto dall’Università degli Studi di Siena e dal Gruppo di Ricerca AITHALE. Attorno al golfo protetto che si apre nel braccio di mare che separa l’isola dal continente, si sono infatti intrecciate nel corso dei millenni frequentazioni umane, approdi mitici, scambi culturali e storie produttive, divenute imprescindibili per la comprensione delle dinamiche storiche dell’intera Etruria. La ricerca ha preso le mosse da una domanda fondamentale: perché l’isola d’Elba è così importante a partire già dall’VII secolo a.C.? Il nome dell’isola, anzitutto, è indubitabilmente greco: Aethalia, o Aithale, è l’isola “fuligginosa”, con chiara allusione ai fumi dei forni fusori o, ancora meglio, al colore che caratterizza la massa scura dell’isola vista dal mare da parte dei navigatori antichi. L’elemento cromatico assume un rilievo anche maggiore, come è stato giustamente osservato, considerando altri toponimi narranti, ugualmente coloristici ma di senso opposto: i Capi Bianchi, all’Elba particolarmente numerosi, dovevano risaltare fortemente agli occhi dei navigatori, per un effetto di contrasto rispetto alla costa “color della fuliggine”. Ma vi è di più. Nella tradizione letteraria antica Portoferraio è Porto Argòo, il Porto Splendente, toponimo spiegato da Diodoro Siculo e da Strabone con la sosta della nave di Giasone e degli Argonauti, che qui avrebbero fatto tappa durante la ricerca del vello d’oro. In una località caratterizzata dalla roccia bianca gli eroi greci avrebbero svolto delle gare sportive e il sudore emanato dai loro corpi avrebbe picchiettato di nero la roccia bianca, tanto da renderla inconfondibile. Questa roccia (aplite con inclusioni di tormalina nera) compare effettivamente nelle immediate vicinanze di Portoferraio e nella stessa rada ed è rarissima nel Mediterraneo, ciò che confermerebbe l’identità fra tradizione del mito e geologia.
Il racconto mitologico adombrerebbe quindi antiche navigazioni greche, a cui si susseguirono quelle fenice, e gli scambi etnici e culturali con le vicine isole della Corsica e della Sardegna. Ma, parlare dell’isola d’Elba e della rada di Portoferraio, significa ancora oggi – a più di trent’anni dalla chiusura definitiva delle miniere di ferro nel 1981 – rievocare anche un mondo minerario e siderurgico che ebbe un grande rilievo nell’economia e nella società dell’isola e che tuttora ne costituisce un aspetto fortemente identitario. A partire dal periodo etrusco nella rada si lavoravano i minerali di ferro estratti nel versante orientale dell’isola: questo luogo, uscito dal mito, era avvolto nei fumi emanati dalle fornaci ed attraversato dai rumori assordanti delle forge e delle officine in cui si producevano i lingotti di ferro, diretti poi verso Populonia ed i grandi centri dell’Etruria costiera. Alla fine del II secolo a.C., quando ormai i romani si erano impossessati dell’isola, il paesaggio
della rada conobbe un ulteriore, radicale cambiamento. Con la cessazione delle attività estrattive, anche le fornaci si spensero, lasciando il posto a ville e a coltivazioni di pregio, testimoniate dalle monumentali ville romane delle Grotte e della Linguella. Lo scavo di San Giovanni nella rada di Portoferraio è quindi nato dalla necessità di individuare un sito archeologico adatto ad illustrare e raccontare queste profonde mutazioni nel paesaggio, con particolare attenzione alla fase metallurgica antica, che sull’isola ha avuto un impatto dirompente.Il sito, localizzato nell’estremità est della pianura costiera omonima, ai piedi della collina occupata dalla Villa delle Grotte, è infatti uno dei primi punti di riduzione di epoca romana ad essere stato conosciuto ed esplorato.
A partire dal primo anno di scavo ad essere emerse non sono state però le fornaci per il ferro, ma i resti di una villa rustica romana, sviluppata su due piani, dotata di una cantina con sei grandi dolia in cui fermentava il vino e di un ambiente destinato alla conservazione di aceto di mela all’interno di anfore. Le testimonianze epigrafiche rinvenute sui dolia, hanno permesso di stimare una produzione vitivinicola importante, che si doveva aggirare attorno ai 9.000 litri, alla quale si affiancava quella di prodotti derivati dagli alberi da frutto. Si tratta di un edificio molto esteso (l’aerea indagata occupa circa 30×30 metri) in cui la pars fructuaria, dedicata alla produzione e all’immagazzinamento, era collocata ai piani inferiori mentre quelli superiori erano riservati alle funzioni abitative, con stanze ed ambienti riccamente decorati ed affacciati verso mare. Le merci giungevano alla villa attraverso un piccolo porto, come sembrerebbero indicare alcune strutture sommerse, funzionali all’approdo, indagate nel corso di ricognizioni subacquee nello specchio di mare antistante. Questo edificio venne eretto alcune generazioni prima della grande Villa delle Grotte, di epoca augustea e situata sul promontorio soprastante, ma della villa rappresenterà in seguito la pars rustica, funzionale alla conservazione del vino e delle derrate alimentari. Gli scavi archeologici, che si protraggono da 8 anni, hanno permesso di attribuire la proprietà di questo edificio e della Villa delle Grotte alla potente famiglia romana dei Valerii. La conservazione della villa è apparsa fin da subito straordinaria: l’edificio, costruito alla fine del II secolo a.C. in larga parte in argilla cruda, è stato distrutto nel I secolo d.C. da un incendio che, “cuocendo” le strutture ne ha garantito la sopravvivenza. Intonaci e
pavimenti decorati, anfore con ancora all’interno il loro contenuto e oggetti di pregio, vengono ogni anno riportati in luce e contribuiscono a scrivere un pezzo di storia inedito per l’Isola d’Elba.
L’articolo, pubblicato nel magazine di promozione turistica Elba Per2 e non solo… Edizione 2021/2022, è stato scritto dalla Dott.ssa Laura Pagliantini che ha conseguito il corso di laurea in Scienze dei Beni Archeologici presso l’Università di Siena.