Viaggio alla scoperta delle isole dell’Arcipelago Toscano
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Quando il vento soffia da nord, la rotta migliore da seguire per visitare l’Isola è senza ombra di dubbio quella che punta alla costa sud-ovest, perché la corrente rende le acque del mare ancora più limpide e splendenti. Si procede da Marina di Campo verso la cosiddetta “Costa del sole”: dieci kilometri di costa che racchiudono alcune fra le più belle baie dell’Isola: le spiagge di fine sabbia granitica di Cavoli, Seccheto e Fetovaia, e le baie di Pomonte e di Chiessi, con i loro scogli piatti levigati nel tempo dal mare e dal vento. Sono protetti alle spalle dal Monte Capanne ed avvolti da una rigogliosa macchia mediterranea, che nel mese di maggio si tinge di giallo: allora il dolce profumo delle ginestre in fiore si mescola a quello del rosmarino e nell’aria si diffonde un’essenza indimenticabile. Ognuno di questi borghi conserva una storia e una bellezza che li rende unici e speciali, da scoprire ed apprezzare anche grazie alle testimonianze delle persone che qui vivono da generazioni e che oggi accolgono turisti in arrivo da ogni parte del mondo.La prima tappa del nostro viaggio, tocca la baia di Cavoli, una delle più famose e frequentate di tutta l’Isola. Ci accoglie sulla sua spiaggia una lingua di circa 300 metri con sabbia fine di origine granitica. Il fondale marino è cristallino ed i colori del mare abbracciano tutte le gradazione del turchese e del blu. Il suo nome deriva dai “cavili”, così infatti si chiamavano i blocchi di granito che venivano estratti sin dall’antichità nelle cave della zona. Il promontorio offre, nascoste nella vegetazione, diverse testimonianze della lavorazione del monzogranito, che risale addirittura al I secolo, con i resti delle antiche cave, di colonne e di due vasche circolari abbozzate, una delle quali è chiamata La Nave. Ma il fascino di Cavoli risiede principalmente nel suo golfo, che custodisce anche una meraviglia sottomarina. La “Grotta Azzurra”, luogo ideale per l’esplorazione con pinne e maschera o per una gita in pedalò, era anticamente chiamata “Grotta di Mare” e si trova percorrendo la costa, sulla sinistra, a circa 600 metri dalla baia. La spiaggia è frequentata da molti giovani grazie ai famosi aperitivi in musica organizzati settimanalmente dal Convio, ma con 3 stabilimenti balneari, ristorante e alberghi, è una meta molto gettonata anche dalle famiglie.
Intervista ad Alfonso Batignani, imprenditore turistico
“Cavoli ha pochissimi abitanti e la sua economia, oggi prettamente turistica, era un tempo incentrata sulla produzione del vino e sull’estrazione e la lavorazione del granito, che veniva poi caricato dagli imbarcaderi e trasportato nella zona di Roma.” Così racconta Alfonso Batignani, 76 anni, imprenditore turistico, ora in pensione: “Il nostro vino prima di essere trasportato via mare verso la Liguria, veniva assaggiato dai cosiddetti sensali che ne contrattavano il prezzo per il compratore. In seguito, abbiamo dovuto abbandonare la coltivazione delle vigne, perché non era più competitiva. Non riuscivamo ad usare la motozappa fra i muretti a secco: era troppo pesante e scomoda da spostare e quindi tutta la produzione veniva effettuata interamente a mano. Qui a Cavoli, sono stati i miei nonni e i miei zii che per primi hanno iniziato ad affittare le stanze ai turisti. Nel 1955 inaugurarono il primo ristorante e poi nel 1960 la prima pensione. In quel periodo prese il via il turismo anche nel resto della costa, con la presenza di diversi turisti tedeschi, che avevano conosciuto l’Elba da militari in tempo di guerra.” Come si trascorre il tempo qui durante l’inverno? Nella stagione invernale ci dedichiamo alle manutenzioni. Per quanto ci riguarda, fra case-vacanza, hotel e stabilimento balneare, i lavori non mancano mai. Poi naturalmente amiamo viaggiare: abbiamo girato l’Europa in pullman e fatto diverse crociere. Cosa la rende particolarmente fiero della sua vita qui? Sono fiero di aver creato qualcosa: nel 1969 ho iniziato a noleggiare i primi ombrelloni ed oggi, oltre allo stabilimento balneare, al parcheggio e alle case-vacanza, gestiamo anche l’albergo. Ciò che mi rende ancora più fiero sono i miei figli, che hanno scelto entrambi di rimanere a Cavoli e lavorare nell’azienda di famiglia, nonostante abbiano avuto l’opportunità di farsi una vita altrove grazie ai loro studi. Sono felici loro con le loro famiglie, e sono felice io. A chi consiglierebbe di venire a trascorrere le vacanze a Cavoli? Questo è un luogo per chi ama il mare e desidera fare la vera vita da spiaggia. Alla sera poi, per fare una passeggiata in paese, in pochi minuti si può raggiungere in auto Marina di Campo. Ci sono persone che vengono in vacanza da noi da generazioni e non si sono mai stancate di tornare. A metà strada fra Cavoli e Fetovaia, incontriamo Seccheto, un’altra piccola perla della Costa del Sole con la sua spiaggia sabbiosa lunga circa 130 metri e una zona di scogli piatti molto accogliente, soprattutto per chi preferisce isolarsi assaporando un tranquillo relax a tu per tu con il mare. Anche qui i colori della natura lasciano senza fiato. Se si arriva via mare si può accedere con gommoni e barche al piccolo molo, che facilita l’accesso alla spiaggia.
Intervista a Quirino Pisani, detto Bruno, 76 anni
Seccheto ha circa 180 abitanti, che condividono un passato legato alla cava di granito, un tempo affacciata direttamente sul mare. Bruno ha fatto lo scalpellino per quarant’anni e racconta che il lavoro era molto duro e non sempre si veniva pagati, perché se qualcosa andava storto con il committente, i salari saltavano. Per questo motivo la coltivazione delle vigne era così importante: il vino prodotto veniva venduto e pagato subito; soldi certi che aiutavano a sbarcare il lunario. “In paese eravamo molto uniti e ci aiutavamo a vicenda, perché la vita era dura e nessuno poteva farcela da solo, ma c’erano anche i momenti di festa, come quello del “Maggio dei lavoratori”. Secondo tradizione, nella notte fra il 30 aprile e il 1° maggio, gli uomini andavano a cantare una serenata sotto alle finestre delle ragazze e delle donne che non erano ancora sposate. Ventiquattro strofe, cantate a cinque o sei voci e accompagnate da un clarino. In seguito, l’usanza si modificò: ci si fermava sotto a tutte le case, utilizzando strofe diverse in particolar modo per le “signorine”. Poi, la domenica successiva, c’era la vera e propria festa durante la quale i “maggiolanti”, portando a spalla un lungo palo infiocchettato, andavano a ritirare i “corolli” preparati per loro dalle donne cui avevano dedicato le serenate; ciascuno era confezionato con un nastro firmato dalla “cuoca”. Il corollo, che ancora oggi è uno dei dolci tipici della tradizione elbana, veniva poi offerto a tutti durante la festa. Da due anni, a causa della pandemia, non si festeggia “il Maggio”, ma certamente la tradizione verrà ripresa appena possibile. Quali sono i motivi per cui consiglia alle persone di venire a trascorrere le loro vacanze a Seccheto? Perché è un paese caratteristico e un luogo tranquillo. La spiaggia è curata, ma il vero valore aggiunto è la scogliera naturalmente piatta. In particolare, la zona detta “Le Piscine” che in realtà sulle carte nautiche si chiama Garian, dove a partire dall’inizio del 1900 sino allo scoppio della prima guerra mondiale, si lavorava il granito che veniva trasportato con carrelli su un binario, per poi essere caricato sulle navi. Quindi, grazie alla lavorazione del granito si è creata questa zona di scogli piatti, che oggi è il paradiso dei turisti.
È facile emozionarsi quando, percorrendo la provinciale, si scorge per la prima volta in tutta la sua maestosa bellezza la Punta di Fetovaia. All’orizzonte, nelle giornate più terse, lo spettacolo della natura è reso ancora più straordinario dalla vista delle isole di Montecristo, di Pianosa e più in lontananza della Corsica. Arrivando poi in prossimità del paese, si resta quasi abbagliati dalla sabbia bianca di granito che brilla al sole, bagnata dal mare turchese che si tinge gradatamente di blu. Per gli amanti dello sport, la baia si presenta come una grande palestra naturale con la spiaggia di sabbia fine, ideale per praticare fitness, yoga e meditazione. Il mare, con il suo fondale dolcemente digradante, è adatto anche ai nuotatori meno esperti. La flora e la fauna della parte sommersa della punta di Fetovaia sono un’attrazione irrinunciabile per gli amanti dello snorkeling, del diving e dell’apnea. Infine, da Fetovaia partono i sentieri che si collegano alla GTE (Grande Traversata Elbana) per attraversare l’isola da ovest aest praticando il trekking e la mountain bike. Il Golfo di Barbatoja, così indicato sulle carte nautiche, è protetto da una lingua di terra lunga quasi un kilometro, ricoperta da un manto verde ricco di lentischi, pini e rosmarini. È conosciuto anche come la baia dei delfini innamorati, perché qui facevano nascere i loro cuccioli. I bassi fondali e la mite temperatura dell’acqua rendevano infatti il golfo un’incubatrice ideale per questi cetacei, che ancora oggi si incrociano al largo della famosa punta. «Io ne ho visti tanti partorire», raccontava negli anni Settanta il vecchio pescatore Giacomo ai giovani che hanno avuto il dono di abitare e lavorare qui. In quegli anni Fetovaia era frequentata da personaggi famosi come Mina e Celentano, ma anche da magnati, politici e scrittori che la amavano anche perché qui non erano perseguitati dai paparazzi e potevano semplicemente godere di una vacanza immersi in una natura quasi incontaminata. Il golfo è stato anche la palestra di Carlo Gasparri, campione mondiale di pesca subacquea, che scendeva sino a quaranta metri di profondità per catturare cernie gigantesche.I primissimi visitatori provenienti dal “continente” risalgono però agli anni ’50. Fu infatti nel 1955 che una coppia di sposi in viaggio di nozze arrivò sulla spiaggia di Fetovaia a bordo di una piccola imbarcazione, accompagnata da un amico elbano conosciuto dallo sposo durante il servizio militare in Sicilia. Italo e Marisa rimasero folgorati dallo spettacolo che si presentò loro: la spiaggia era una grande duna ricoperta da gigli bianchi. Si tratta del Pancratium Maritimum che fiorisce solo sulla spiaggia e che ancora oggi possiamo trovare in alcuni punti dell’arenile. I bambini, a quel tempo, si divertivano a rotolarsi giù dalle dune fiorite sino al mare. Il paese si presentava come una grande vigna sino alla spiaggia. L’economia vinicola era però già in declino e quindi alcune famiglie del posto pensarono di vendere i loro terreni ai due sposi “milanesi”, che acquistarono un’azienda agricola con magazzini e stalla. Vennero poi trasformati in un’abitazione unica dove la Famiglia Martinenghi, con i 2 figli nati nel frattempo, si trasferì a vivere 10 anni più tardi. Furono quindi proprio loro a dare vita allo stabilimento balneare Barbatoja, il primo nato sull’isola nel 1961. Dino, il “bagnino – vignaiolo” durante l’inverno curava le vigne. A settembre si vendemmiava e si producevano circa 20 ettolitri di vino. Come nel resto dell’Isola, col tempo le vigne andarono in abbandono, lasciando posto ai servizi turistici. Nel 2020 però, a Fetovaia, nelle antiche vigne trasformate in parcheggi, sono state ripiantate le viti dell’Ansonica, il più antico vitigno autoctono, la cui vendemmia è prevista per la prima volta nel 2022. Un ritorno alle origini, fortemente voluto da Stefano Martinenghi (figlio di Italo e Marisa) che oggi conduce il Barbatoja Beach Village e che crede sia necessario sostenere e rilanciare l’economia turistica locale, rivalutando e valorizzando l’ambiente e il patrimonio enogastronomico locali.
Intervista a Sauro Lupi, 61 anni, fetovaiese, assistente bagnanti
Da quanto tempo la sua famiglia vive a Fetovaia? I miei nonni originariamente avevano casa a San Piero e nelle campagne più a sud verso il mare possedevano i magazzini utilizzati per la produzione del vino che poi veniva venduto. Nel dopoguerra, infatti, San Piero e Marciana (detta anche Marciana alta ndr) erano i nuclei abitativi più importanti della zona. Per un certo periodo i miei avi emigrarono in Svizzera ed in Piemonte lavorando come scalpellini. Poi, negli anni ’70, con l’avvento del turismo, i “Sanpieresi” si spostarono verso il mare, andando ad abitare a Fetovaia ed i magazzini furono trasformati in abitazioni per i turisti. Sino a quel momento, le principali fonti di sostentamento erano state la lavorazione del granito e la vinificazione. Cosa la rende particolarmente fiero della sua vita a Fetovaia? Sono fiero della bellezza del posto in cui ho la fortuna di vivere e mi piace l’equilibrio fra la tranquillità invernale e il lavoro estivo. Nei mesi di pausa lavorativa amo potermi dedicare ai miei hobby preferiti come la pesca e le manutenzioni. Ed è bello, dopo 5 mesi di tranquillità, tornare a contatto con la gente e potermi confrontare con persone che arrivano un po’ da tutte le parti del mondo e che sono ben disposte al dialogo, visto che si trovano qui in vacanza. Cosa invece cambierebbe se ne avesse la possibilità? Mi piacerebbe che venisse sviluppato il turismo invernale, anche per far conoscere altri aspetti dell’Isola meno noti, ma altrettanto belli, come le passeggiate in montagna e i bagni invernali. Il clima dell’Elba è molto favorevole anche nei mesi meno caldi, per questo motivo potrebbe diventare una meta prediletta anche “fuori stagione”, specialmente per i turisti del nord Europa.
Il nostro viaggio attraverso le meraviglie della “Costa del Sole” ci porta a Pomonte, luogo prediletto dagli amanti degli scogli che si sdraiano al sole sulle lisce scogliere granitiche di Cala Maestrale e del Calello e si rinfrescano con un tuffo nelle acque del mare cristallino. Percorrendo la strada che dalla Chiesa scende al mare, si incontra anche una piccola spiaggia, conosciuta come Le Scalette, formata da ghiaia e ciottoli levigati dal mare, anch’essi di origine granitica. Se amate invece prendere il largo in solitaria sul vostro windsurf, potrete godere della spinta del vento termico, tipico di questa zona. Ma l’esperienza più affascinante che offre questo incantevole villaggio è lo spettacolo del tramonto con il sole che “si tuffa” dietro alla Corsica. Impossibile da dimenticare. Questo borgo si trova nel Comune di Marciana e prende origine da un antico villaggio, a 460 metri di altitudine, che risale all’Elba medievale. Dopo essere stato distrutto intorno al 1550, il paese si ricostituì più a valle, dove lo troviamo oggi, con i suoi 240 abitanti (censiti recentemente), la Chiesa di Santa Lucia (edificata nel 1913) e l’Oratorio di Santa Filomena del XIX secolo. Vicino allo Scoglio dell’Ògliera, a circa 12 metri di profondità, si trova il relitto dell’Elviscot, un piccolo mercantile adibito a trasporto di legname che, nel 1972, a causa del maltempo affondò andando a sbattere sugli scogli di Pomonte, ma lasciando fortunatamente illeso l’equipaggio. Le immersioni in questo sito, consigliabili in presenza di subacquei esperti, regalano incontri con le numerose tipologie di pesci che abitano il relitto: occhiate, saraghi fasciati, corvinie, murene e gronchi. I “pomontinchi” si sono sempre dedicati alla pesca per il sostentamento famigliare, ma la loro principale attività lavorativa è stata nei tempi passati quella dell’estrazione del granito e della coltivazione delle vigne. Così ci racconta Gianpiero Costa che, ancora oggi a 80 anni, si prende cura delle sue splendide vigne a Pomonte e a Fetovaia. Cosa ci può raccontare della storia di Pomonte e della sua famiglia? I miei bisnonni erano cinque fratelli (due maschi e tre femmine) e impiantarono le vigne lavorando tutti insieme, quasi come una catena di montaggio. Gli uomini costruivano i muri a secco mentre le donne tagliavano la macchia. A sera bruciavano le sterpaglie e illuminati dal chiarore del fuoco facevano movimento a terra per preparare gli altri pianelli. L’unica risorsa in quell’epoca era infatti la viticultura e nel periodo di ferma della campagna si poteva andare a lavorare due o tre mesi in cava. Così anche nella nostra famiglia, mentre mio padre lavorava il granito, io lavoravo la terra. Avevo 15 anni ed ero senza esperienza, ma imparavo dai miei stessi errori. La pesca veniva praticata solo a livello amatoriale, non per un vero e proprio commercio. Il pescato veniva diviso equamente fra i compaesani in cambio di qualche soldo. Era una forma di “commercio solidale”. La prima strada interpoderale, in questa parte dell’Isola, fu costruita nel 1956, ma la vita è cambiata davvero solo con l’arrivo della strada e dell’elettricità nel 1960. Da quel momento in poi i giovani poterono iniziare a lavorare nell’edilizia. Per organizzare momenti di svago, negli anni ’50 i pomontichi fondarono la loro banda musicale con circa 30 elementi guidati dal Maestro Gentili, che prese poi a tenere concerti anche in trasferta. A Marciana, ad esempio, si esibiva in occasione della Festa di Ferragosto. Una passione che in diverse famiglie si è tramandata di generazione in generazione; per questo motivo abbiamo loro intitolato una strada: la Via dei musicanti. Oggi esiste il “Comitato del Calello” che organizza eventi in paese, solo temporaneamente sospesi a causa della pandemia. Generalmente si tratta di degustazione di piatti tipici locali e feste musicali che vengono allestite vicino al mare.Ci racconta qualcosa dei primi turisti che sono arrivati da queste parti? Negli anni ’60 i primi turisti arrivavano in auto sino a San Piero. Da lì venivano portati a dorso d’asino e facevano un percorso che da Colle Palombaia li portava a Pomonte, passando per Fetovaia. Un’esperienza molto suggestiva specialmente per chi arrivava dalla città. C’è qualcosa della sua vita a Pomonte che avrebbe modificato se avesse potuto farlo? L’unica cosa che avrei cambiato è il modo di coltivare la terra perché con i mezzi che avevamo a disposizione non era competitivo. Per il resto sono soddisfatto di ciò che ho avuto, perché bisogna godere appieno di ciò che la vita ci offre. Quali consigli darebbe ai turisti che soggiornano a Pomonte? Il mio consiglio è di andare a visitare i resti di alcune chiese molto antiche che si trovano sul Monte Capanne, alle spalle del nostro paese: la Chiesa di San Biagio (del XII sec.), la Chiesa di San Frediano, di San Bartolomeo e di San Benedetto.
Se dovessi definire questo piccolo borgo sul mare con un colore, sceglierei il bianco. Bianca è la sua distesa di scogli, bianca è la piccola spiaggia di ghiaie e bianco è l’intonaco delle piccole case dei circa 200 abitanti. Così si presenta Chiessi: un’oasi di pace, affacciata sul mare e circondata da orti, vigneti e macchia mediterranea. Riparata dal Colle di San Bartolomeo, promette a ciascuno un angolo di tranquillità dove potersi rifugiare per ammirare lo scenario che Madre Natura regala ogni giorno. Qui il vento soffia allegramente e vele e velette sembrano danzare sulla superficie del mare, che in questa zona è particolarmente cristallino e favorevole alla pratica dello snorkeling e della subacquea. E per chi ama mettersi in cammino, da Chiessi partono il sentiero panoramico che arriva a Pomonte ed i percorsi di trekking che conducono a Marciana e al Santuario della Madonna del Monte. Questo piccolo borgo, si sviluppa intorno alla piazzetta di granito rustico che ospita la chiesa intitolata alla Madonna di Loreto, costruita nel 1951. Si presume che nel medioevo fosse già presente un edificio sacro intitolato alla Madonna, visto che un’insenatura che si affaccia sul mare porta il nome di “Cala Santa Maria”. Sulla montagna, in una zona molto isolata, troviamo anche tracce di una postazione d’avvistamento da cui si osservano Corsica, Pianosa e Capraia. È chiamata “Guardia al Turco” e risale al XVI secolo. Qui, nel 1888, fu costruita la stazione telegrafica, chiamata “Semaforo di Campo delle Serre”, di cui troviamo ancora resti della sala trasmissioni e di una delle due antenne. Anche il fondale marino conserva preziose testimonianze del passato. Si tratta del “Relitto di Chiessi”, una nave romana risalente al 70 d.C., che giace a 46 m di profondità sul fondale marino davanti al paese e che si stima al momento del naufragio trasportasse circa 7000 anfore contenenti garum (salsa a base di interiora di pesce e pesce salato utilizzata dagli antichi Romani come condimento di molti piatti), olio d’oliva e vino.
Intervista ad Alessandro Costa detto “Avvocato Cencetti”
“Anche se è un paese sul mare, le principali fonti di sostentamento degli abitanti di Chiessi sono sempre state il granito e i vigneti e non la pesca, come del resto anche a Pomonte e Fetovaia. A Chiessi tutte le famiglie avevano l’asino e le cantine che li ospitavano si sono poi trasformate in appartamenti per i turisti che hanno iniziato ad arrivare intorno alla seconda metà degli anno ‘60. È in una posizione fantastica: è l’ultimo paese dove tramonta il sole e da qui si possono vedere Corsica, Pianosa e Montecristo.” Così spiega Alessandro Costa, un tempo muratore e giardiniere, oggi invalido, soprannominato scherzosamente in paese “Avvocato Cencetti”. Lui e la sua famiglia vivono a Chiessi da sempre e racconta che quando le navi provenienti da Genova attraccavano al molo di Chiessi, caricavano sino a 100 quintali di uva da vino. Dalla cava di granito bianco sopra al paese, rimasta in funzione sino a 20 anni fa’, è stata estratta la pietra con la quale venne costruita la piazza-parcheggio di Chiessi, e quelle di molti altri paesi elbani. Era di una qualità molto pregiata perché chiarissima, quasi bianca e priva di macchie. Un’altra risorsa importante per il paese era il carbone: “Io e mio padre lo prendevamo qui nella zona del “Bollere”, (dove ora ci sono castagni di proprietà), e lo portavamo a piedi nudi a San Piero con il somaro; 2 balle da 80 kg valevano 2 Lire. La pesca, sino agli anni ‘60, veniva praticata con il tritolo, fatto esplodere in un barattolo. Il pesce che affiorava era sempre molto abbondante, sufficiente per sfamare l’intero paese e per conservarne un grande quantitativo sotto sale. Le donne coltivavano l’orto e l’olio era molto prezioso perché c’erano pochi ulivi. Ogni contadino, inoltre, raccoglieva sino a 100 kg di fichi che venivano fatti essiccare al sole in cassette di legno per poi essere bolliti, lasciati asciugare e consumati durante tutto l’inverno. Il pane veniva cotto nel forno del paese e distribuito equamente fra tutti gli abitanti. Si impastavano circa 50 kg di farina e per non far impazzire l’impasto si usava “spiccicare il pane” ovvero incidere una croce su ogni singola “michetta” o filone. Alle 2 del mattino si accendeva il forno per la cottura e si ottenevano circa 50 kg di pane di diversi tipi: bianco, con i fichi, con l’uva e poi la focaccia. Il pane secco durava 1 o 2 mesi. Una delle ricette più comuni dei pasti dell’epoca era a base di pane secco, zerri (pesce povero molto diffuso), pomodoro e olio.” Che consigli darebbe a chi viene a Chiessi? Questo è il luogo ideale per chi ama mare, windsurf, buon cibo e passeggiate. Forse meno adatto ai giovani di 18-20 anni che cercano anche altri divertimenti. La mia raccomandazione, per chi decide di costruire qui la sua casa, è di non deturpare il territorio con costruzioni che non lo rispettino. Cosa cambierebbe di Chiessi e cosa invece la rende particolarmente fiero di vivere qui? La manterrei così com’è. Qui ho ritrovato la gioia di ascoltare il vento e di pescare quando ho deciso di tornare a casa dopo quasi venti anni di vita e lavoro a Firenze, in Svizzera e a Milano. Qui sono libero di vestire come voglio e di vivere in libertà nella bellezza di questo mare e di questa terra.
L’articolo è stato scritto dalla giornalista Paola Brodoloni per il magazine di promozione turistica Elba Per2 e non solo… Edizione 2021/2022.