La Grande Bellezza
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14 Dicembre 2023“Qui entra l’uomo, il reato resta fuori”. Questa memorabile e, per certi versi, avveniristica scritta per i tempi, appariva all’ingresso della colonia agricola di Pianosa nel 1875 (Planasia dall’aggettivo latino planus “piatto”), per evidenziare in anticipo con i tempi moderni il carattere rieducativo che il carcere deve esplicare nei confronti delle persone recluse. Istituita come colonia agricola penale nel 1861, conobbe il massimo fulgore un decennio dopo con l’avvento del Comm. Dott. Leopoldo Ponticelli, Direttore illuminato che ne assunse la reggenza nel 1871 per circa un ventennio; fece di Pianosa una Colonia penale modello che, in anticipo sui tempi, sperimentò nuove strategie rieducative fondate sul lavoro e sul rispetto della dignità della persona. Infatti vi lavoravano circa 600 detenuti che in piena libertà si occupavano di agricoltura e muratura. Mirabili a tutt’oggi, appaiono le costruzioni architettoniche fatte con stile eclettico interamente edificate dai detenuti sotto la sapiente guida di Ponticelli. Un vero e proprio eden per i tempi, «una meravigliosa novità dove l’espiazione di una colpa muta in un giardino una terra selvaggia»[1]. Lo stesso Don Gaetano Chierici, come Ponticelli reggiano e suo amico, ebbe a dire durante la sua visita a Pianosa, del clima festoso e nel contempo laborioso riscontrato nei detenuti che «sono contenti , girano liberi per la campagna ed io vagando per le mie ricerche mi trovo talvolta in mezzo a squadre di 30 o 50 detenuti come fossero i nostri contadini. Ponticelli li domina con l’autorità non con la forza, e gli vogliono un gran bene». In poche parole, l’illuminato Direttore Ponticelli, oltre a cancellare l’infausto appellativo di “Isola del Diavolo” – attribuito a Pianosa dai briganti, ivi spediti nell’Ottocento ai lavori forzati durante il dominio del Granducato di Toscana – fu soprattutto un antesignano del moderno metodo di rieducazione, adottato dalle più avanzate legislazioni penitenziarie che vedono nel lavoro un elemento fondamentale del trattamento rieducativo. Ma Pianosa è anche bellezza selvaggia, storia e cultura, oltre che carcere. Qui, Agrippa Postumo, nipote ed ex erede di Augusto, fu esiliato nel 6/7 anno d.C. e rimase sull’Isola sino al 14 per poi essere giustiziato. Fra le costruzioni dell’epoca antica si possono ammirare la Villa di Agrippa e un sistema di catacombe, il cui complesso pianosino risulta il secondo d’Italia dopo quello di Roma.. Ancora si può rimirare il Forte Teglia, che si erge sull’omonimo promontorio, voluto e fatto costruire da Napoleone Bonaparte durante il suo breve esilio sull’Isola d’Elba.
Sempre a Pianosa, nel 1932 il futuro Presidente della Repubblica Sandro Pertini fu imprigionato dal fascismo per motivi politici. E pochi sanno che nel 1986 Madre Teresa di Calcutta visitò i detenuti di Pianosa e fece ergere in bella vista sul promontorio del Teglia la Madonnina che si può ammirare in alto quando si arriva a Pianosa. Si narra che alla vista del “picchetto d’onore”, che fu allestito in Suo onore con il vigore che la contraddistingueva nonostante l’esile figura, si fermò e intimò immediatamente di scioglierlo perché era venuta non per ricevere onori ma per visitare i detenuti! Ma la bellezza mozzafiato di Pianosa può essere rimirata in tutta la sua integrità nello splendido Porto Romano, nella Cala di Biagio e Cala del Bruciato – solo per citare alcuni luoghi di incontaminato splendore nel piccolo porticciolo, ritenuto da alcuni il più bello al mondo – e nel suo entroterra rigoglioso, selvaggio e incontaminato. Ma Pianosa è anche Carcere. È stato carcere duro. Corsi e ricorsi storici, come insegna il filosofo partenopeo Giambattista Vico:
da carcere illuminato e rieducativo, ecco di nuovo riaffiorare la primigenia immagine dell’Isola del Diavolo a distanza di quasi due secoli. Infatti, negli anni 70, per volere del Generale Dalla Chiesa, venne istituito il Supercarcere e la diramazione di Agrippa fu trasformata in un carcere di massima sicurezza dove furono reclusi i brigatisti più importanti come Renato Curcio, Giovanni Senzani, Alberto Franceschini e Roberto Ognibene. Alla fine degli anni ‘80 sembrava che la chiusura del carcere fosse imminente ma nel 1992, dopo la strage di Capaci che vide la morte del grande Magistrato Dott. Giovanni Falcone, della moglie e della sua scorta, il Governo di allora, in piena emergenza, decise di rafforzare l’articolo 41 bis dell’Ordinamento Penitenziario. Varò il decreto 306/1992 che introdusse delle stringenti limitazioni nei confronti dei mafiosi, sottoponendoli ad un regime speciale di detenzione che prevedeva la loro collocazione all’interno di istituti a loro esclusivamente dedicati (situati preferibilmente in aree insulari o comunque in sezioni speciali), la limitazione del numero dei colloqui che potevano svolgersi di norma solo con familiari e conviventi, la restrizione delle somme di denaro, dei beni e degli oggetti di cui era consentito il possesso, la limitazione delle ore d’aria…
Furono ristretti allora, i mafiosi più pericolosi tra cui Michele Greco, Pippo Calò, Pietro Vernengo, Nino Madonia, Leoluca Bagarella, solo per citarne alcuni. Poi, nel 1996 viene istituito il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano con compiti di tutela ambientale e con legge n. 652, del 22.12.1996 è stata disposta la cessazione dell’utilizzazione per finalità di detenzione dell’Istituto Penale di Pianosa entro il 30 ottobre 1997. Questa è storia recente. Del Supercarcere resta, come un pugno nell’occhio, il muro Dalla Chiesa, un muro di cemento armato alto 6 metri e lungo quasi 3 Km, che divideva il nucleo abitativo di Pianosa con la Direzione del Carcere dalla restante zona detentiva, più le vecchie strutture ormai in disarmo. Ecco che per incanto, Pianosa ridiventa di nuovo un piccolo carcere rieducativo e grazie alla sua bellezza può plasmare e consentire di rieducare detenuti anche con un fine pena lungo. Perché il bello, per sua intrinseca natura, è altamente rieducativo. Non era Dostoevskij che affermava che la bellezza salverà il mondo? Grazie ad un’intesa virtuosa tra l’Amministrazione Penitenziaria, l’Ente Parco Arcipelago Toscano e il Comune di Campo nell’Elba si sono potute sperimentare di comune accordo forme di tutela ambientale e di valorizzazione dell’isola di Pianosa mediante l’utilizzo del lavoro dei detenuti attraverso la realizzazione di programmi trattamentali avanzati. Per effetto di questa intesa, i detenuti ubicati a Pianosa, circa una ventina in media, eseguono lavori di bonifica sotto il coordinamento tecnico e le indicazioni operative dell’Ente Parco per la realizzazione dei lavori da eseguire in coerenza con la regolamentazione dello stesso Ente. E durante il periodo estivo lavorano proficuamente nelle strutture
ricettive turistiche allestite dal Comune di Campo nell’Elba. Il lavoro in questo caso ha un’alta valenza rieducativa, viene retribuito e in accordo con la Magistratura di Sorveglianza, le persone detenute possono avere e usare, con certi limiti, il telefono cellulare, accedere a internet e coltivare l’affettività in una casa messa a disposizione per poter incontrare i propri familiari. Si tratta sicuramente del primo esempio, e per ora unico, di affettività in carcere in Italia.
[1] Don Gaetano Chierici in visita a Pianosa nel 1873 che scrisse la breve monografia dedicata a Ponticelli Antichi monumenti della Pianosa
L’articolo, pubblicato nel magazine di promozione turistica Elba Per2 e non solo… Edizione 2021/2022, è stato scritto dal Dott. Francesco D’Anselmo ex Direttore dei carceri di Porto Azzurro all’Isola d’Elba all’Isola di Pianosa.