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Una manifestazione di paese può diventare un evento ed un’emozione che coinvolge tutti. A raccontarcelo è Michelangelo Venturini, uno dei suoi protagonisti, imprenditore turistico e artista a tutto tondo. Innamorato del suo paese è sempre stato un vero punto di riferimento per Capoliveri ed è uno degli ideatori di questo appuntamento elbano.
Capoliveri è una delle località dell’Isola d’Elba più amate dal turismo nazionale ed internazionale.
Quali sono le ragioni di tanta notorietà?
Difficile dirlo, ma forse tutto sta in una ricetta tanto semplice, quanto efficace, fatta di genuinità della gente, capacità di innovazione e grande valorizzazione del patrimonio culturale. È proprio Capoliveri, infatti, che conosciuta per i suoi paesaggi, le vie strette ed intricate del borgo e per lo shopping, si è saputa far conoscere ed apprezzare anche perché uno dei paesi elbani che più ha saputo riscoprire il sapore delle antiche tradizioni e delle feste popolari. Fra queste, da sempre, riscuote un grande successo la festa dell’Uva, nata per rievocare il rito della vendemmia. E all’Elba la vendemmia è sempre stata uno dei momenti più attesi dell’anno.
Come nasce la Festa dell’Uva?
Era il 1995. Un gruppo molto affiatato di capoliveresi, tutti membri dell’associazione culturale Giuseppe Verdi, che ho presieduto fino al 2002, durante una riunione per sviluppare idee e proposte per il paese, decise di creare un nuovo evento.
Perché questa attenzione così forte per l’uva e la vendemmia e quindi per una festa dedicata a questo evento?
Da ragazzino partecipai ad una delle edizioni della festa dell’Uva di Portoferraio. Erano gli anni ’50.
La festa riuniva tutti i paesi dell’Elba: c’erano tanti figuranti e carri allegorici che raccontavano della vendemmia.
Rimasi colpito da un gruppo di militari della Scuola della Marina in divisa bianca, che vennero addirittura presi a “raspollate” (lancio di raspolli d’uva) dai Capoliveresi, per “aver fatto il filo” alle loro giovani compaesane. Traemmo ispirazione da questi ricordi per inventarci una nuova festa dell’Uva. Nuova nella veste e nel significato. Era davvero la festa dei capoliveresi, la festa di tutti. Decidemmo di chiamarla nella sua prima edizione “La vendemmia nel borgo e nel tempo”. Si presero i quattro rioni, già concepiti per la Festa dell’Innamorata, e ai rispettivi “capi” si dette il compito di rappresentare il proprio.
La festa ha avuto da subito un grande successo, ma quale è stato il suo vero segreto?
Un grande personaggio, Ugo Gelsi, definiva Capoliveri il paese del “cetrato”, a significare che il paese si infiamma subito per poi spegnersi poco dopo, proprio come le bollicine in un bicchiere di citrato.
È vero. Ma il segreto è quello di aggiungere citrato, quando il suo effetto finisce. Fuori di metafora, sono le nuove idee a rendere la Festa dell’Uva ogni anno rinnovata, vivace, energica, effervescente. Abbiamo imparato a renderla frizzante anno dopo anno, come un calice di bollicine che non svaniscono mai, inserendo di continuo nuove idee. Uno dei segreti del successo di questa manifestazione sta nella libertà di ogni partecipante di esprimere il proprio pensiero, e nella conseguente combinazione di idee e suggerimenti migliori che ne fanno un evento sempre unico. La parte più difficile di tutta la festa è il momento dell’assegnazione del premio: è difficile stabilire il migliore. Come dissi nella prima edizione prima del verdetto della giuria: “Ha già vinto Capoliveri”. E ora mi sento di dire che vince l’Elba intera e con essa gli elbani nativi e d’adozione.
Lei questa festa l’ha ideata e l’ha vista crescere.
C’è un evento particolare che le è rimasto nella memoria e nel cuore?
Potrei parlare per ore della Festa dell’Uva, ma mi preme raccontare un episodio. Un mio amico livornese, giudice di tribunale, mi chiese di fare per suo conto delle ricerche sulla sua famiglia, presumibilmente di origini capoliveresi. Dopo qualche tempo gli proposi di far parte della giuria della Festa dell’Uva.
Rifiutò, perché voleva partecipare insieme alla gente in un rione. Alla fine della festa mi disse che le mie ricerche potevano terminare. Non aveva più bisogno di documenti che lo attestassero, si era sentito Capoliverese e aveva capito che le sue radici venivano da qui.